Nati nel 1999 negli USA, gli Ogre ci consegnano il quarto album dopo
sei anni di silenzio, il primo pubblicato nientemeno che dalla storica
Minotauro, una delle etichette che hanno permesso alla NWOIHM di esistere.
Il gruppo è un power trio composto dal cantante e bassista
Ed Cunningham, dal chitarrista Ross Markonish e dal batterista Will
Broadbent. La copertina del cd non lascia dubbi, il granitico cavernicolo
rappresenta alla perfezione il sound maledettamente doom del gruppo.
Da rilevare come sempre l’ottimo lavoro di packaging della label
italiana, che cura in modo maniacale i propri prodotti, proponendo
edizioni cartonate che sembrano Lp in miniatura.
Anche gli Ogre non sfuggono al fascino di piazzare un intro ad apertura
del cd, suoni oscuri, loschi presagi, solo una parentesi prima dell’incursione
in pieno heavy ottantiano di “Nine Princess in Amber”,
un pezzo che se non sapessi essere stata prodotto adesso, non avrei
avuto dubbi a catalogare nel repertorio di qualche gruppo dei primissimi
ottanta. La voce sgraziata di Ed è un mix tra Ozzy e Paul Chain
e risveglia parecchi fantasmi. Il brano è cadenzato e abbastanza
epico, non particolarmente originale, ma molto credibile. La lunga
e sofferta “Bad Trip” è un tuffo in pieno doom,
ancora viene in mente il maestro pesarese, mentre la parte centrale
ricorda il brano omonimo dei Black Sabbath. “Son of Sisyphus”
è ancora puro doom, molto seventies oriented, con un ottimo
guitar solo, rispetto ai brani precedenti questo pezzo è un
po’ più personale. “Soulless Woman” è
una cover di una band omonima vissuta nei seventies, un omaggio se
volete un po’ bizzarro, ma molto onesto, il pezzo ha un riff
micidiale filtrato dal wah-wah, che entra subito in testa. Le intemperanze
doom riprendono a pieno ritmo con “Warpath”, che è
un po’ troppo Lo Fi (che non considero un difetto in se), e
risulta meno efficace, mentre molto bello è il finale onirico.
L’atmosfera psichedelica continua nella breve “White Plume
Mountain”, se facessero un disco con queste sonorità
potrebbero anche ottenere notevoli consensi, anche se personalmente
mi piace di più quando mostrano i muscoli. Il disco termina
con la lunga e rallentata “The Hermit”, un doom psichedelico
di buon spessore, il territorio perfetto per questo trio di freakettoni.
Se vi piacciono gli artisti citati, oppure band come i Naam e tutti
i nostalgici di come si suonava nei fatidici seventies, provate a
dare una chance a questi Ogre, sono convinto che non vi deluderanno.
GB
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