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            ricordate di Chris Poland? Quello di Metalopolis? Beh, qualcuno deve 
            aver messo in dubbio le sue doti musicali e lui deve essersi incazzato 
            di brutto, ma di brutto, brutto, perché è tornato sul 
            mercato con questo nuovo progetto: un trio condiviso con Robertino 
            Pagliari al basso e David Eagle alla batteria, all'insegna di una 
            fusion ultratecnica e molto poco metal. 
 Non ci troviamo forse di fronte ad un album innovativo, ma questo 
            solido jazz rock è un gran bel sentire e certe sonorità 
            sono abbastanza nuove e interessanti. Attacca "Peanut Buddah", 
            che parte con un intro tribale e poi si trasforma come in un caleidoscopio, 
            complicandosi e cambiando continuamente d'atmosfera, un brano incredibile. 
            "Where's My Hat" sembra voler coniugare i Primus e la fusion, 
            tecnica mozzafiato e scintille, però nella seconda parte inizia 
            un po' a stancare. "In" viaggia sulle stesse coordinate 
            con idee diverse. "Love Song" pur mantenendo le caratteristiche 
            esposte, si muove su standards romantici. La bravura di questo trio 
            è ineccepibile, ma dopo sette brani si incomincia a sentire 
            la mancanza di qualcosa, forse delle vocals, ma è solo un attimo 
            "Sister Cheryl" e "Brandeburg Gate" rialzano il 
            tiro con soluzioni nuove e più intriganti, in particolare la 
            seconda con dei favolosi giri di basso.
 
 In tredici brani questo trio mostra le luci (tante) e le ombre (poche) 
            di un genere difficile e impegnativo, ma capace di grandi emozioni. 
            GB
 
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