Avevo
chiuso la recensione del precedente lavoro di questi musicisti svedesi
con la speranza che il nuovo disco potesse essere un po’ più
“robusto” e questa caratteristica emerge dall’ascolto
di questo Silence of Another Kind, il loro terzo sigillo. Ma le cose
sono cambiate molto poco e più che altro sembra che il gruppo
abbia cercato di consolidare il proprio sound.
Le caratteristiche del Paatos’ sound ci sono tutte, musica che
oscilla continuamente tra suggestioni prog nel classico senso del
termine, influenze tratte dal nuovo pop e una sana voglia di fare
musica venata di originalità. Qualcuno lo chiama “melancholic
post rock”, di certo ultimamente la musica a sfondo malinconico
ha trovato molti sostenitori.
Questo nuovo affresco moderno è composto da nove traccie piuttosto
diverse ed eterogenee per poco meno di quarantadue minuti. Si attacca
con “Shame” che è uno dei brani più “facili”
da metabolizzare, un giro ritmico vorticoso lancia la voce suadente
di Petronella che ci accarezza nonostante l’atmosfera del brano
sia molto gotica e carica di suggestioni oscure. Molto più
morbida e minimalista è la successiva “Your Misery”
con atmosfere quasi jazzate. Non meno delicata è “Falling”,
ma è sostenuta da delle ritmiche più interessanti della
canzone precedente. L’atmosfera torna a riscaldarsi con “Still
Standing” che cresce ascolto dopo ascolto. “Is That All?”
ritorna a proporre situazioni più rock, ma è solo con
“There Will Be No Miracles” che i suoni si fanno duri
e decisi. “Not a Sound” apre molto romantica con il violoncello
di Petronella che continua ad coccolare i nostri sensi, un brano un
po’ troppo lungo, che solo col crescendo finale molto solenne
e pomposo risveglia l’attenzione. La traccia finale che da il
titolo all’album non è una vera canzone, piuttosto è
una sperimentazione piuttosto dark e minimalista che lascia un po’
di insoddisfazione.
I Paatos sono un gruppo molto interessante, ma il nuovo album è
riuscito a metà, le traccie morbide lo sono un po’ troppo
e quelle energiche pesano troppo poco nel bilancio complessivo, l’originalità
a volte non basta per centrare l’obbiettivo. GB
Altre recensioni: Kallokain
|