A metà ’70 ci siamo innamorati di Pampered Menial, la
voce androgina di David Surkamp ci ha fatti sognare. Poi il gruppo
ha prodotto un secondo album che non ha saputo ripetere il successo
del precedente, segnale di un gruppo entrato in crisi. Surkamp lungo
gli anni, e dopo due diversi progetti, gli Hi-Fi e l’avventura
solista, ha tenuto in vita la band con diverse formazioni, dando alle
stampe alcuni album non sempre all’altezza del nome e spesso
non facili da reperire, ma in ogni caso si trattava di lavori dignitosi.
Sicuramente degno di menzione Echo & Boo del 2010, dove si cerca
di riprendere il sound degli esordi.
Oggi i Pavlov’s Dog ricompaiono con questo nuovo disco un po’
inaspettato, sono passati otto anni dal precedente. L’attenzione
cade subito sulla copertina, che richiama chiaramente il disco di
debutto, l’autore dell’incisione è lo stesso, ma
il cane appare in salute.
La voce di David è ancora emozionante, la band è tutta
nuova, ma come inizia la musica la sensazione è che il tempo
non sia trascorso. Si inizia con la malinconica “Paris”,
aperta dal violino evocativo suonato da Abbie Steiling, che suona
in modo intenso. Cosa dire poi del chitarrista David Malachowski,
il suo assolo acido in “Thrill of it All” è da
brividi. Tutta la band si fa apprezzare. Bella raccolta di canzoni,
che mescola folk americano (Easter Day), prog (The Winds Wild Early),
blues (Crying Forever) con venature hard rock, tutto mescolato alla
ricerca di una musica soprattutto bella da ascoltare.
In sostanza questo nuovo album suona fresco nonostante il collegamento
al passato. Quello che potrebbe sembrare la chiusura di un cerchio
potrebbe essere in realtà un nuovo inizio, un prog raffinato
che cerca prima di tutto di offrire buone emozioni. I Pavlov’s
Dog non sono un gruppo nostalgico, portano avanti la loro storia con
grande dignità e questo disco è veramente bello. Per
sognatori di tutte le età. GB
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