I bolognesi Prophecy viaggiano al confine fra il Progressive ed il
Prog Metal. Lo conferma anche la voce di Matteo Bonazza che si esprime
in bilico fra un impostazione alla Bruce Dickinson (Iron Maiden) e
una più pacata stile anni ’70. “Illuminat “
apre l’ascolto proprio con questo andamento, un altalenare fra
episodi duri e reminescenze vintage. Tuttavia è la ritmica
a farla da padrona, con un ottimo lavoro da parte di Stefano Vaccari
alla batteria e di Alessandro Valle al basso e al flauto.
Destabilizzanti cambi di tempo fanno venire alla mente inesorabilmente
i Dream Theater. Buona l’idea del flauto in “Babba”,
altra canzone ricca di spunti sia Metal che prettamente psichedelici
alla Hawkwind. La giovane età del quartetto non nasconde di
certo una cultura musicale elevata. Tutto il cantato è in italiano
e la produzione sonora è almeno più che sufficiente.
Con “Scarto” si esprimono fra interventi elettronici e
voce filtrata, un tentativo nervoso e destabilizzante per colpire
l’ascoltatore, il quale non può fare a meno di fare certi
accostamenti con gli anni ’70, quelli di quando Stratos e soci
(Area) tentavano sperimentazioni sonore. Non lontani certi Queensryche.
Buoni gli interventi di chitarra, specie nei solo di Gabriele Martelli.
Qui i Prophexy sembrano sapersi muovere con idee precise, cosa che
non sempre riesce nel corso dell’ascolto. Un balzo temporale
con il flauto in “Fischio, Come Guarire Un”, sembra che
i nostri abbiano preso una lezione dai New Trolls dell’era De
Scalzi, De Palo (magari è casuale). Passato e presente si alternano
vertiginosamente nelle note dei brani, mentre “Plasticosmic”
è divertente e scanzonata, un approccio verso una sonorità
più abbordabile. Ritornano le fughe strumentali e i cambi di
ritmo repentini in “Tritone”, con un attenzione (anche
troppa) verso i King Crimson. Colpisce il frangente acustico centrale,
con tanto di flauto, davvero bello! “Qubo” rialza i toni
ed ancora una volta richiama il nervosismo dei più recenti
King Crimson. La band suona alla grande, segno di amalgama profonda
e di buona tecnica. Chiude “C’è Vite Sulla Luna?”,
un lavoro che lascerà molti contraddetti. Infatti i Prophexy
si divertono ad alternare tanto materiale e tante emozioni, ma chi
non è avvezzo a certe sonorità, troverà il tutto
molto cervellotico.
Ma questo sperimentare da parte loro, secondo il mio modo di vedere
è solo che positivo, c’è solamente da focalizzare
uno stile più preciso, un sound che riconduca il tutto alla
band, altrimenti si rischia di cadere nell’anonimato, malgrado
le numerosissime idee apportate….e sarebbe davvero un peccato.
MS
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