Dietro al nome Raven Sad si cela un artista toscano di nome Samuele
Boschelli Santanna. Siamo al cospetto di una one man band , anche
se il termine (fra virgolette) va stretto, in quanto nella circostanza
Samuele si avvale della partecipazione di molteplici musicisti. Troviamo
Fausto Amatucci alla batteria, Giulia Bizzarri alla voce, Luca Boldrin
ai sintetizzatori e flauto, Gabriele Cecconi alle tastiere, Cosimo
Chiaramonti alla voce, Giacomo Cipriani al basso, Fabrizio Trinci
alle tastiere e Marco Tuppo agli effetti, lop e chitarre.
Boschelli ha un anima raffinata, sensibile e sognante, la musica che
propone lo rappresenta così. Una musica delicata, debitrice
sia agli anni ’70, con uno sguardo verso i Pink Floyd più
acustici, che a quella di band più recenti, come i Porcupine
Tree (nei primi anni) di Steven Wilson, uno degli ultimi veri geni
dell’intero scenario Rock.
Raven Sad mostra di avere cultura del panorama musicale, espone differenti
sonorità e quindi oltre che Psichedelia , c’è
anche del Prog Rock. Non voglio spaventare tutti coloro che detestano
la complessità strutturale dei motivi, quindi non fuggite dalla
recensione, perché in “Quoth” si va dritti al dunque
senza inutili virtuosismi. Ci sono dodici brani per una durata media
di quattro minuti l’uno. “Have No Time” apre il
cd e l’anima dell’autore, presentandolo a noi immediatamente
a nudo, in un suono prettamente crepuscolare. Un cenno come dicevo
prima ai Porcupine Tree, ma nulla scalfisce la personalità
di Samuele. Un suono portatore di cristalline gocce di ponderata malinconia.
“Stars” è delicata e spensierata, mentre “Raven
Floating In Space” fa la gioia di tutti coloro che respirano
Psichedelia di matrice DOC. Questa musica è un gioco di luci
ed ombre, Raven Sad riesce ad essere un proiettore di luce che scarica
flash accecanti, alternandoli aritmicamente a frangenti di buio. Le
chitarre di “Talk To Me” sono soavi e Pinkfloydiane, una
canzone riflessiva che apre in noi i migliori anni di questa musica:
gli anni ’70. Samuele gioca anche con la rumoristica per poi
gettarsi anima e corpo nelle armonie delicate di motivi acustici,
come ad esempio in “Those Good Words”. Il pezzo che mi
colpisce di più è anche il più lungo (sei minuti)
e si intitola “The Raven Song”. Note sostenute lo trasportano
nei meandri della mente, una musica che scava nota dopo nota e che
improvvisamente si apre come un libro. Non è semplice trascrivere
a parole queste composizioni, specialmente quando un artista si espone
così variegatamene.
Non si grida in “Quoth”, si sussurra, si pondera, per
cui questo disco va ascoltato, non sentito. Forse una migliore produzione
sonora poteva dargli una marcia in più, ma per il sottoscritto
è sufficiente anche così, perché è la
sostanza quella che conta. Scoprite anche voi questo artista, sono
sicuro che con il tempo ne sentiremo ancora delle belle! MS
Altre recensioni: We Are Not Alone; Layers
Of Stratosphere; The Leaf and the Wing
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