I Raven Sad da alcuni anni sono una delle voci più originali
del nostro circuito rock a tinte prog. Oggi il termine progressive
va usato con cautela, sembra diventato scomodo e poco tollerato, sia
dai fan che da alcuni “addetti ai lavori”, perché
rievoca subito suggestioni che sanno di muffa, di stantio, di sonorità
d’altri tempi. Affibbiare questo stile può condannare
un gruppo ad una stretta cerchia di nostalgici incalliti. Lungi da
me voler sostenere le critiche al rock “romantico”, per
come la penso ogni artista deve essere libero di esprimere la musica
che ha dentro, poco importano le etichette e i generi, se c’è
del buono e dell’inventiva il risultato ripaga.
Perché questa introduzione un po’ noiosa? Perché
non vorrei che i Raven Sad venissero scambiati per dei nostalgici
incapaci di accettare le sfide della modernità. In loro sicuramente
troviamo un modo di scrivere musica che non suona “moderno”
se ci basiamo su quanto passa nelle principali radio mainstream, però
non sono nemmeno dei musicisti legati alle sonorità del passato,
eppure fanno un rock complesso, articolato, ricco di cambi di tempo
e d’atmosfera, con brani che mediamente risultano lunghi e teatrali,
se volete un accostamento potrebbe essere coi Genesis di Gabriel,
ma ripeto non è musica che guarda al passato. Si tratta piuttosto
di fondare le radici in una tradizione artistica che nonostante tutto
continua ad ispirare molti musicisti e questo penso sia il nocciolo
della questione.
Samuele Santanna è un musicista ispirato e ci ha confezionato
un nuovo emozionante capitolo della sua visionaria immaginazione,
musica che ha radici salde e che spero di poter ascoltare ancora in
futuro. GB
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