Per
la mia generazione Ross the Boss è stato il primo mitico chitarrista
dei selvaggi Manowar, anche se il nostro si era già fatto notare
in precedenza coi Dictators, storica formazione americana a cavallo
fra il punk e l’hard rock, e con i francesi Shakin’ Street
molto amati in patria. Ma la vera popolarità è arrivata
col gruppo di De Maio e Adams, coi quali ha inciso tutti i dischi
più belli, come Hail to England, Sign of the Hammer e Battle
Hymns. Conclusa l’esperienza con gli impetuosi Signori della
Guerra, il nostro ha vagabondato in varie formazioni minori, compresa
l’entrata nei Brain Surgeons di Albert Bouchard (BOC), coi quali
ha inciso l’ottimo Denial of Death. Per il suo come back l’axeman
ha deciso di unirsi ai tedesci Ivory Knight, del resto oggi la Germania
è il paese a più alto tasso metal, ma la scelta probabilmente
è dipesa anche dal fatto che questi musicisti hanno una cover
band dei Manowar.
Questo disco è il suo primo parto solista e fin dalla cover
si capisce subito che Ross vuole lanciare un chiaro appello a tutti
i fans dei Manowar e del metal epico, Army of the Immortals preparate
le armi, si scende in battaglia! L’iniziale “I.L.H.”
non lascia dubbi sulle intenzioni bellicose del nostro che confeziona
un riff epico e magniloquente come pochi, lo spirito indomito non
si è di certo affievolito in Ross, si tratta di un metal roccioso
e compatto che si rifà al passato con orgoglio. Si continua
con “Blood of Knives”, siamo sempre in territori cari
ai fans dell’Epic Metal, sembra infatti una rilettura di “Each
Down I Die”, il singer Patrick Fuchs come avrete capito ha una
buona estensione vocale e canta in modo abbastanza simile ad Adams.
Ross è tanto sicuro di se che ha deciso di spendere parole
che non lasciano dubbi, come il titolo dell’album e tutto il
resto, ma ascoltando il disco si sente che non si tratta delle “sparate”
che hanno sempre contraddistinto i Manowar, che per mio conto da quando
è uscito Ross non hanno più fatto niente di veramente
interessante, limitandosi a copiarsi in continuazione. “I Got
the Right” è puro metal epico, che riporta quello spirito
battagliero che manca da un po’. Dopo altri brani di puro metallo
arriva la prima ballata, “God of Dying”, ad alto tasso
di solenne malinconia, sullo stile della splendida “Mountain”
o di “Bridge of Death”, tutti i fans dei primi ottanta
si commuoveranno con questo pezzo, da brividi. La festa comunque continua
sempre su ottimi livelli, il songwriting pur essendo ottantiano è
molto scorrevole, non ci sono novità nella formula del Boss,
ma tanto heavy generoso e sincero. Apoteosi finale con l’intensa
“Immortal Son”.
New Metal Leader corre il rischio di venir relegato come prodotto
di serie B, essendo in un certo senso un disco “derivativo”,
ma questo sarebbe un grave errore, perché si tratta di un ottimo
disco di heavy metal epico, che risente un po’ di una produzione
contenuta e di pochi mezzi a disposizione, ma ce tanta passione e
questa conta più di tante diavolerie elettroniche da studio.
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