E siamo a venti, venti apputamenti con nuove idee elaborate dai leggendari
canuck-rockers Rush lungo trentotto anni di carriera, venti studio-albums
che possono aver fatto discutere su una band capace di cambiare stile
e approccio rimanendo sempre riconoscibili al primo attacco, ma mai
hanno deluso la propria fedele audience che negli anni si è
infoltita con nuove leve che hanno riconosciuto nel trio degli inimitabili
maestri.
Geddy Lee, Neal Peart ed Alex Lifeson ci hanno fatto attendere cinque
anni da quel "Snakes & Arrows" che qualche critica aveva
sollevato, ma basta un primo ascolto di "CA" per capire
come i tre abbiano impiegato quel tempo per sfornare un disco mozzafiato,
graziato dalla portentosa produzione di Nick Raskulinecz che esalta
il lato più heavy dei Rush e lo rende in maniera cruda ed emozionante.
L'avvio è affidato a due brani già noti da tempo, ovvero
"Caravan" e "BU2B (Brought Up 2 Believe)", effervescenti,
quasi brutali (per quanto stiamo parlando dei Rush, ok?), farcite
di quei passaggi che rimarcano il 'naturale' virtuosismo degli esecutori
di cui è ricca la discografia della band. Si prosegue quindi
con la titletrack e ci immergiamo da questo momento nel materiale
ancora vergine per le mie orecchie ed è una gran goduria con
quel basso in continua pulsazione, le percussioni che dettano impeccabilmente
tempi e ritmi, la chitarra che delinea ora tenui arpeggi e subito
dopo macina implacabili riffs senza rinnegare mai il fattore melodia,
ed all'improvviso ecco uno stacco blues con tanto di voce 'megafonata'
prima di riprendere il discorso. Magnifico!
La storia prosegue con "The Anarchist", ennesima pietra
miliare che ha tutto quello per cui i Rush sono conosciuti, tastiere
comprese, ma finchè non entra la voce di Lee, si faticherà
a credere che quel pesantissimo riff blacksabbathiano di "Carnies"
sia stato in realtà partorito dai Rush e l'alternanza di questo
con altre parti più tipicamente rushiane è un componente
peculiare del brano.
L'urgenza espressiva di "CA" conosce una relativa pausa
con la bella "Halo Effect" la cui sognante strofa è
alternata ad altre parti più corpose, ma è un attimo
perchè "Seven Cities Of Gold" torna a calcare tonalità
molto heavy.... non voglio svelarvi altro perchè è giusto
sia ciascuno di voi a scoprire le chicche, i cambi di tempi e di atmosfere
generosamente offertici dai nostri eroi. In particolare sappiate che,
nonostante le smentite di Lifeson, "Clockwork Angels" è
il primo vero e completo concept album realizzato dai Rush, una storia
che vede contrapposti ordine e caos... seguite l'appassionante vicenda
scritta come al solito da Neal Peart.
Voglio finire segnalando l'emozionante e delicato finale "The
Garden", orchestrato con tanto di piano, violini e il resto...
goduria sublime!
Beh, gli ingredienti ci sono tutti, le idee anche... non esitate e
non ve ne pentirete! ABe
Live Report: 2004
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