Il
doom, che recentemente è stato ribattezzato anche stoner, trova
sempre nuovi artisti che ne perpetuano le oscure gesta, nuovi sacerdoti
di una fede musicale che è inspiegabile. A parte i Black Sabbath
nessuno altro a fatto fortuna suonando questo genere eppure ecco questi
tre ragazzi che pubblicano un album viscerale e straordinariamente
coinvolgente.
Il gruppo nasce in Svezia grazie al chitarrista di origine cubana
Eduardo Fernandez Rodriguez che decide di dare vita a questo nuovo
progetto insieme al bassista Par Hallgren dopo lo scioglimento dei
Rooster, ai due si affianca il batterista Kricke Lundberg (ex Skills)
e il power trio è al completo. L'attitudine di questi artisti
è molto settantiana, infatti sembra quasi di ascoltare delle
registrazioni d'epoca, suoni ruvidi e sperimentali, con abbondanti
dosi di psichedelia, la distorsione della chitarra è molto
pastosa e spesso sembra di ascoltare i vecchi Blacks, un groove stracarico
di nostalgia e dal solido impianto blues. "Vega" è
introdottada un intro a base di space rock, via via il brano cresce
di intensità e vigore facendosi sempre più ossianico.
"Mountain Song" è un brano tribale che attacca subito
con la chitarra e vengono in mente anche le cose del Paul Chain di
In the Darkness. "Rio Rojo" è un brano molto personale,
il cantato in spagnolo è un po' strano in questo contesto,
ma il riffing tiene alto il tiro del pezzo. "Fedra" è
un lungo trip sabbatico, un brano incredibile che ogni amante del
doom non deve assolutamente perdersi. Sugli stessi livelli è
"Death" che ha un incedere superbamente sulfureo.
Un disco d'altri tempi, dannatamente affascinante che consiglio caldamente
a tutti gli amanti del doom più evocativo. GB
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