Rock Impressions

The Sign The SIGN - The Second Coming
Frontiers

Signori, si sfiora il capolavoro! Melodic Rock a tutta birra per questa seconda produzione del combo americano The Sing formato da talenti già conosciuti nell’ ambiente come il tastierista Mark Mangold (Drive She Said, Touch), il cantante Terry Brock (ex Strangeways), Jon Bivona alle chitarre (Trans Siberian Orchestra), Randy Jackson (Zebra) alla chitarre e Mark Hermann al basso.

Il disco di debutto dal titolo “Signs of Life“ ha messo già in evidenza le forti potenzialità degli artisti, confermate in questo successivo “The Second Coming”, dalle forti tematiche Hard Rock. L’overture “Aryon” prepara lo spirito giusto all’ascolto e grazie alla sua solarità accompagna la nostra attenzione in “Stained”, primo vero brano del CD. In esso fuoriescono subito allo scoperto le carte dei The Sign, carte vincenti, merito dei coretti accattivanti e anche a certe sonorità puntate verso i lontani anni ’70 primi ’80. Importante il lavoro chitarristico, ma è la band tutta a dare dimostrazione di grande affiatamento.

Il concept album, perché di questo si tratta, prosegue compatto con “The Morning After”, armoniosa ballata carica di enfasi, vicino al Progressive dei Spock’s Beard quelli più melodici. Veramente una canzone sopra le righe che lascia spazio alle rasoiate chitarristiche della successiva “Motor Cycle Messiah”, classica Hard Rock song con richiami a R.J. Dio e Saxon.
Il disco è veramente divertente e spensierato, con “Shine” andiamo incontro al Rock Americano, quello di classe, ricolmo di voci che si inseguono ed un ritornello semplice, semplice da canticchiare. Per chi, come il sottoscritto, ama certi suoni anni ’70, con Hammond e certi cori di Pinkfloidyana memoria, “Bliss” è un pezzo da novanta ed introduce la bellissima “If For One Moment” come meglio non si potrebbe. Assolo di chitarra da brivido nel finale , fatto con il cuore, non con le vertiginose scale da mettere li tanto per dire “…come sono bravo!”, è il momento che lo richiede ed i The Sign lo sanno.
Si naviga nella normalità con “Flame Of The Oracle”, canzone forse troppo anonima rispetto a quello che si è ascoltato sin d’ora, (forse ci stanno abituando troppo bene), anche se sempre valida. Certi accordi sono molto vicini anche ai Queen degli anni ’70 e la breve “The Ooze” ne ha il profumo.

Avete notato i nomi che ho citato? Dai Saxon ai Dio, dai Spock’s Beard ai Queen e questi solo per ricordarne alcuni, molti di voi ne riscopriranno cento altri, ma questo altalenarsi di emozioni è forse la carta vincente dei The Sign. Malgrado le caratteristiche propendano verso vecchie influenze, nell’insieme il suono è fresco e pure dotato di una buona personalità. In poche cose, ma in questo gli americani sono maestri, non c’è nulla da dire.

Non voglio proseguire la recensione brano per brano visto che il prodotto è mirato ad un pubblico che ama molto “ascoltare” la musica, e non sentirla (ad esempio sentire passare anche una macchina è un modo distratto e casuale), quindi preferisco non rovinare più loro le eventuali sorprese. Ad altri consiglio di concentrare la propria attenzione ed i propri risparmi su diversi lidi, ma non sapete cosa vi perdete….. SM



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