Le
porte dell'inferno si sono aperte di nuovo per vomitare l'ennesima
band di hard rock sulfureo. I Sir Hedgehog seguono con devozione le
oscure orme di due illustri band dei seventies: i Led Zeppelin e i
Black Sabbath e infarciscono il loro booklet di simboli esoterici
e satanici.
Le dieci tracks sono spudoratamente settantiane e il fascino che esercitano
è che sembra tutto autentico, sembra un disco estratto da un
polveroso scaffale dove è rimasto tranquillo a dormire per
tre decadi. Alla faccia di tanti gruppi dediti ad un recupero dei
seventies che hanno però un sound ricco più di ombre
che di contenuti, i Sir Hedgehog sputano in faccia all'ascoltatore
la loro passione musicale con una carica inaudita.
La band si è formata nel '95 e, dopo alcuni inevitabili cambi
di formazione, si è consolidata nella classica formazione a
quattro con voce, chitarra, basso e batteria. L'album apre con il
brano "Otherside", un chiaro tributo ai Led Zeppelin più
seminali, penso a "Communication Breakdown", con il singer
Jonas Fairly che si avvicina molto a Plant, sia come timbro che come
stile, mentre i riffs di chitarra sono granitici. "Magic Garden"
prosegue con un hard rock con influenze ottantiane. "Freedom
Guild United" contiene una parte finale al fulmicotone, con un
assolo da brivido. "Chu De Phat" è quasi spudorata
nei riferimenti ai Led, allo stesso modo "Gimme the Bone"
lo è nei confronti dei Sabbath, per non parlare di "Bitchlord",
con Jonas che riesce ad imitare anche il vecchio Ozzy. Chiude il brano
strumentale "Olympus Mons", psichedelico e malsano come
pochi altri.
Un debutto contradditorio, eccessivamente settantiano che piacerà
maledettamente ai cultori di quel sound, ma che lascierà indifferenti
tutti gli altri. GB
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