Davvero l’abito non fa il monaco, se il giudizio del disco fosse
influenzato in maniera rilevante dall’artwork, saremmo ora qui
a disquisire su tutto l’operato. Per fortuna il contenuto sonoro
è migliore di quello che si rappresenta, senza comunque gridare
al miracolo, sia inteso. Patrik Skantze ha trentacinque anni, è
svedese, al suo secondo lavoro in studio ed è influenzato dal
Prog di Nick Drake.
Tanta musica acustica, Folk, a tratti vicina ai Jethro Tull ed in
altri frangenti al grande Mike Olfield ed ai Pink Floyd. In realtà
Skantze è una one-man band e si avvale della presenza di Christopher
Korling alla batteria, del violoncello di Jorgen Palm e della voce
e del flauto di Eva Bjorkner.
Si dimostra ottimo chitarrista per tutto l’ascolto e riesce
ad emozionare maggiormente nei passaggi acustici, i quali a volte
sembrano uscire direttamente dalle mani di Ian Anderson. La vena creativa
di questo giovane artista è davvero ricca di sorprese e di
buone intuizioni, specialmente in “The Plunge”, undici
minuti di Folk, flauto e quanto di meglio questo genere ha saputo
creare. In definitiva il sunto è che non servono chissà
quali suoni, nemmeno watt da sparare a brutto muso, solo tanto cuore
e buona tecnica messa al servizio della diretta semplicità.
Non si può restare indifferenti ai fluidi Floydiani di “Gleam
Of Hope”. A tratti mi sembra di ascoltare il miglior Guy Manning.
Questo disco è una vera sorpresa in tutte le sue dieci tracce,
da ascoltare e riascoltare per saperne cogliere la dolcezza e la grazia.
Avrete compreso che non stiamo ascoltando passaggi alla Yes, ne fughe
alla Spock’s Beard, ma tanta, tanta armonia messa al servizio
del cuore. Questo disco non ammette repliche, prendere o lasciare,
per quello che riguarda il sottoscritto un buon lavoro da assolvere
con buoni voti.
La Svezia produce Prog di qualità a rotta di collo… meditate
gente, meditate… MS
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