La Svezia non smette di partorire nuove sensazioni prog ed ecco che
arrivano freschi di debutto questi Soniq Circus, che si sono formati
nel 1999 e inizialmente proponevano cover dei brani classici del genere,
poi col tempo si sono spostati su composizioni proprie e hanno fatto
breccia con un demo alla piccola, ma professionale Progress Records.
Le sette composizioni che formano questo primo album sono un perfetto
trait d’union fra tensioni settantiane e il moderno prog metal,
non a caso fra le loro influenze citano i classici come King Crimson,
Yes, Genesis e a sorpresa chiamano in causa anche i misconosciuti
e sottovalutati City Boy, poi Saga, Dream Theater, A.C.T e Beardfish,
ne esce un mix dall’indubbia carica tecnica ed emotiva, che
sembra fatto apposta per gli amanti del prog tout court. In effetti
fin dalle prime note questo appare come un prodotto molto di nicchia,
destinato ad un pubblico molto selezionato. Con questo non voglio
dire che non sia un buon disco, solo che difficilmente potrà
attrarre altre persone oltre agli appassionati del genere.
Il disco si apre con una classica “Overture”, che è
un po’ la summa di quanto si andrà ad ascoltare in seguito,
un prog venato di hard rock, molto più settantiano di quanto
probabilmente il gruppo stesso avrebbe voluto, comunque una buona
prova. Grinta ed energia anche in “Welcome”, niente che
faccia gridare al miracolo, ma ancora un buon hard prog con ritmiche
mediamente complesse e discrete strutture melodiche, uno dei momenti
più convincenti del disco. Anche “Bright Future”
possiede uno spirito indomito, dove ancora è l’hard rock
a prendere il sopravvento, questo è anche il primo brano lungo
e il gruppo mette in mostra le proprie capacità compositive,
che appaiono apprezzabili. In “Revolution” si incominciano
a sentire i primi segnali di stanca nell’ascolto, quello che
inizialmente piaceva adesso inizia a diventare un limite. Molto carina
e un po’ ruffiana è “An Idiot”, retta da
un refrain con una bella melodia, ma nulla più. Già,
meglio la complessa e tormentata “Chain of Consequences”,
ma c’è chi ha fatto di meglio. “Colliding Stars”
chiude citando lo space rock, ma non osa abbastanza e si adagia su
delle tranquillizzanti linee melodiche, di sicuro se il gruppo avesse
osato di più ne sarebbe uscito qualcosa di molto buono.
In definitiva per essere un debutto è un disco più che
buono, ma ora aspettiamo i prossimi lavori per verificare se il gruppo
ha davvero stoffa. Da tenere sott’occhio. GB
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