Rock Impressions

Soniq Circus SONIQ CIRCUS - Soniq Circus
Progress Records
Distribuzione italiana: no
Genere: Prog
Support: CD
- 2007

La Svezia non smette di partorire nuove sensazioni prog ed ecco che arrivano freschi di debutto questi Soniq Circus, che si sono formati nel 1999 e inizialmente proponevano cover dei brani classici del genere, poi col tempo si sono spostati su composizioni proprie e hanno fatto breccia con un demo alla piccola, ma professionale Progress Records.

Le sette composizioni che formano questo primo album sono un perfetto trait d’union fra tensioni settantiane e il moderno prog metal, non a caso fra le loro influenze citano i classici come King Crimson, Yes, Genesis e a sorpresa chiamano in causa anche i misconosciuti e sottovalutati City Boy, poi Saga, Dream Theater, A.C.T e Beardfish, ne esce un mix dall’indubbia carica tecnica ed emotiva, che sembra fatto apposta per gli amanti del prog tout court. In effetti fin dalle prime note questo appare come un prodotto molto di nicchia, destinato ad un pubblico molto selezionato. Con questo non voglio dire che non sia un buon disco, solo che difficilmente potrà attrarre altre persone oltre agli appassionati del genere.

Il disco si apre con una classica “Overture”, che è un po’ la summa di quanto si andrà ad ascoltare in seguito, un prog venato di hard rock, molto più settantiano di quanto probabilmente il gruppo stesso avrebbe voluto, comunque una buona prova. Grinta ed energia anche in “Welcome”, niente che faccia gridare al miracolo, ma ancora un buon hard prog con ritmiche mediamente complesse e discrete strutture melodiche, uno dei momenti più convincenti del disco. Anche “Bright Future” possiede uno spirito indomito, dove ancora è l’hard rock a prendere il sopravvento, questo è anche il primo brano lungo e il gruppo mette in mostra le proprie capacità compositive, che appaiono apprezzabili. In “Revolution” si incominciano a sentire i primi segnali di stanca nell’ascolto, quello che inizialmente piaceva adesso inizia a diventare un limite. Molto carina e un po’ ruffiana è “An Idiot”, retta da un refrain con una bella melodia, ma nulla più. Già, meglio la complessa e tormentata “Chain of Consequences”, ma c’è chi ha fatto di meglio. “Colliding Stars” chiude citando lo space rock, ma non osa abbastanza e si adagia su delle tranquillizzanti linee melodiche, di sicuro se il gruppo avesse osato di più ne sarebbe uscito qualcosa di molto buono.

In definitiva per essere un debutto è un disco più che buono, ma ora aspettiamo i prossimi lavori per verificare se il gruppo ha davvero stoffa. Da tenere sott’occhio. GB

Altre recensioni:
Reflections in the Hourglass

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