Il nome di Bruce Soord non dovrebbe passare inosservato, è
il leader e forza motore dei The Pineapple Thief, fra le migliori
band inglesi di progressive che tentano di rilanciare il genere in
patria. Poi ha recentemente collaborato alla riuscita del bellissimo
dvd degli Anathema, di cui ha curato il mixing. Inoltre sta rimixando
diversi titoli, come Deliverance & Damnation degli Opeth e Sactitude
dei Katatonia. Con questi ultimi è nato un sodalizio che ha
portato Bruce a collaborare con loro in tour, mentre col batterista
Jonas Renske ha realizzato l’album Wisdom of Crowds. Quindi
lo troviamo impegnato su fronti diversi, con un percorso che sembra
in parte parallelo a quello del più celebre compagno di scuderia,
Steven Wilson. Non pago di tanti percorsi ha realizzato il progetto,
lungamente covato, di pubblicare il fatidico primo album solista,
a cui partecipa in alcuni brani il chitarrista Darren Charles dei
Godstick.
Nel presente disco Soord ha voluto mettere in chiaro il proprio lato
più umorale e intimista del proprio stile compositivo. Ecco
quindi che non sorprende l’inizio vellutato e sognante di “Black
Smoke”, fatta di poche note sospese e un cantato malinconico.
Soord propone un minimalismo perfettamente costruito su pochi accordi,
e un arrangiamento mirabilmente orchestrato. “Buried Here”
è già più canzone, fra indie rock e il vecchio
cantautorato rivisto in chiave post moderna. Il brano prende via via
intensità e diventa a suo modo un inno, che piacerà
molto ai fans degli Anathema e dei gruppi derivati. “The Odds”
invece è più particolare, un giro ipnotico incalza l’ascoltatore,
è un brano che ha personalità. Ma ogni brano ha un’identità
diversa e “A Thousand Daggers” ci mostra ancora una volta
l’abilità di Bruce di giocare con belle melodie ed arrangiamenti
non convenzionali. Suoni per lo più acustici, che creano un
mood onirico. Il rapimento continua con l’incantevole “Willow
Tree”, a questo punto del disco, se ci si lascia andare, partono
emozioni profonde. Il brano sarà il secondo singolo tratto
dal disco. “Born in Delusion” prosegue il cammino senza
perdere un grammo di smalto, è ancora un bel pezzo, sospeso
tra cantautorato d’autore e una ricerca musicale elitaria. “Field
Day Part.1 and 2” sono due brani molto delicati, in linea col
resto, ma a questo punto meno sorprendenti. Quasi in finale arriva
il primo singolo estratto, “Familiar Patterns”, è
un brano particolare, sempre giocato su soluzioni rarefatte e minimali,
con belle melodie, anche se l’andamento è particolarmente
lento e poco radiofonico. Però possiede la bellezza di un paesaggio
nordico immerso in verde silenzio. Bello l’assolo, un po’
pinkfloydiano, ma non banale. Chiude “Leaves Leave Me”,
canzone mesta e notturna, che suggella un disco fatto per palati fini,
non è certo rock di pancia, ma anche la testa vuole la sua
parte.
Soord è un buon songwriter, lo ha dimostrato con i suoi The
Pineapple Thief, nel complesso terreno prog, ma oggi mostra che anche
in contesti ridotti e scarnificati. Di sicuro la sua penna è
influenzata da Anathema e certi Porcupine Tree, ma sono sonorità
ancora in via di esplorazione. Resta il fatto che la sua bravura continua
a sorprenderci… e il futuro è ancora tutto da scrivere.
GB
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