Bel lavoro dalle tinte spiccatamente crepuscolari è “Requiem
Rosa”, caratterizzato da pregevoli intarsi chitarristici che
adornano un tappeto sonoro di buona fattura, intessuto con grande
attenzione e cura dei particolari dalla pulsante sezione ritmica e
da tastiere a tratti sontuose.
Le cangianti ambientazioni che distinguono ogni singolo episodio vi
faranno gioire delle pulsazioni death rock dell’opener “The
London fog” o di “99 cats”, decisamente americaneggiante
nei suoni, o delle citazioni di certa wav albionica ingiustamente
sottovalutata, come in “Like a noise” (qui i quattro musici
partono alla ricerca di autentiche perle nascoste in anfratti ombrosi
e discosti, portando alla luce le testimonianze gloriose rilasciate
dai mai troppo lodati Sad Lovers and Giants). Giovandosi inoltre di
due ottime voci (Christian Celsi e Daniela Palermo, che di queste
canzoni sono pure gli autori dei testi, interpretati con passione
spontanea), possono sfruttare questa rara opportunità, accentuando
a volte il lato drammatico di queste belle songs (come in “Modern
slaves” interpretata da Daniela, credetemi, terminato l’ascolto
del disco, ho trascorso una buona oretta nel gelo della mia mansarda
a cercare le X Mal Deutschland, ah!, cosa non fa la benedetta nostalghia!),
altre quello più intimo e cogitabondo (“Dorian”).
Ma è la versatilità appunto a mettere a punto il risultato
di maggior valore, quella capacità di mutar scena che vi porterà
ad apprezzare incondizionatamente la bellissima “I will kill
myself”. “Requiem rosa” è lavoro sontuoso,
professionale ed assai ricercato, anche (ovviamente, mi viene spontaneo
rilevarlo trattandosi di una produzione targata Nomadism Records!)
nell’apparato grafico (a cura di Mauro Berchi, una assoluta
certezza). Il ritmo secco di “Moscow” omaggia ancora gli
ottanta, senza che prevalga quel senso di vuota rimembranza che a
volte inficia prove analoghe, e la prova viene brillantemente superata,
col massimo dei voti (soffermatevi sul lavoro intenso del basso e
della batteria, sulle reiterate note della chitarra e sugli svolazzi
delle keys: da manuale!). Ma non mancano ferme esibizioni di forza
(“Wake up in a grave”) ad arricchire un songbook già
completo (l’incipit di “Bloody rain” ricorda vagamente
i Blur!), ed a far definitivamente pendere l’ago della bilancia
a favore dei bravi The Stompcrash, una delle proposte, non solo italiane,
più convincenti di quest’ormai declinante duemilaesette.
AM
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