Rock Impressions

Strangelet - First Bite STRANGELET - First Bite
Selfproduced

Distribuzione italiana: no
Genere: Hard Rock
Support: CD - 2014


Questa giovane band tedesca ha realizzato un paio di cd, ma questo è considerato il loro vero debutto discografico. Anche se è autoprodotto, il gruppo ha cercato comunque di fare le cose per bene. Il gruppo è composto da un classico quintetto con cantante, chitarra, tastiere, basso e batteria. Il sound proposto è un heavy rock molto coinvolgente, con belle melodie, che ben riflette il gusto germanico per questo genere musicale, non è un caso se alcune band di questo paese hanno imposto il loro verbo.

L’avvio è affidato alla potente “Privilege of Power”, un brano incalzante, pieno di energia, il cantante Stefan Zoener ha una bella voce, un po’ roca, perfetta per il genere, il primo impatto è subito positivo. “Nothing” è un’altra classica canzone piena di grinta contagiosa, il gruppo ce la mette tutta per coinvolgere l’ascoltatore, molto buona la sezione ritmica composta dal bassista Finn Janetzky e dalla bella batterista Jessica Stuart. Precisi gli assoli di chitarra di Tobias Eurich, non brillano di originalità, ma sono misurati e ci stanno bene, mentre le tastiere creano il tappeto necessario a tutto il resto. “Tainted” continua a pompare energia, un mid tempo irresistibile con un riffing roccioso e cattivo e delle melodie assolutamente azzeccate. Molto convincente “Pray to Break”, con assoli di chitarra più interessanti e l’album scorre senza mostrare cedimenti. “Stillborn” è una classica ballata semi elettrica, ottima da cantare sotto il palco, molto buono anche il crescendo finale. Come non muoversi con le movenze sensuali di “Snakebite”? il gruppo continua a rockare alla grande. La corsa non si arresta nemmeno con “Hell & Back”, certo che di entusiasmo ne hanno da vendere, il brano verso la metà poi si trasforma in un blues sporchissimo dal grande impatto. Divertente anche “Touch the Sky”, che non manca di trovate guascone. Più originale la seconda ballad “Catching Fire”, in chiave blues, ma con ottime linee melodiche vocali e un buon finale elettrico e tribale. Particolare e struggente “All That’s Left”, che conferma la buona vena della band. Chiude “Hiding Star”, un tempo quadrato e diretto, che sembra flirtare con l’elettronica, il risultato è interessante, anche se qualcuno potrebbe storcere un po’ il naso, ma siamo alla fine e ci sta bene.

Gran bel disco, tenendo conto anche del fatto che è un debutto, forse il genere proposto non è più tanto di moda, ma questi ragazzi ci credono e questo potrebbe essere la chiave vincente del loro futuro. GB

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