Sono passati dieci anni dal precedente lavoro in studio di questo
power trio canadese, ma ricordo ancora che rimasi molto colpito dal
loro stile viscerale e potente, che miscelava prog e heavy rock con
grande efficacia. Oggi li ritroviamo di nuovo insieme con questo album
composto da undici brani che riprende il discorso da dove si era interrotto
e ci mostra una band che ha ancora tanta voglia di fare musica, anche
se lo scioglimento sembrava cosa fatta. Oltre due milioni di dischi
venduti comunque devono essere stati un ottimo propulsore e alla fine
i tre sono tornati insieme ed ecco il risultato.
Si parte con la zeppeliniana “The L.o.C”, la componente
prog nel senso classico del termine è minimale, mentre quella
hard rock è fresca e pulsante, il mix che ne esce non è
molto attuale, ma l’effetto è coinvolgente. Il brano
successivo è la possente “The Black Sea”, ritmi
complessi fanno da tappeto ad una melodia semplice e graffiante, con
atmosfere vagamente oscure ed epiche, davvero un bel brano. “Cypher”
è uno dei momenti più prog del disco, con ritmi dispari
e dissonanze giocate su melodie dal sapore orientale e ritmi tribali,
un pezzo dal carattere forte. “The Maker” è una
ballata elettrica tutt’altro che scontata e piena di pathos.
“Black Roses” invece è una ballata semi acustica,
c’è un simile gioco armonico e ancora una volta si aggirano
fantasmi zeppeliniani. “Brazil” vede il contributo del
percussionista Aline Morales, infatti c’è una parte tribale
abbastanza suggestiva, ma è il brano nel suo complesso a convincere.
Piace la complessità di “The 11th Hour”, la band,
come del resto è tipico dei canadesi, riesce a coniugare molto
bene belle melodie e ritmi articolati. “Submission” ha
un flavour dark che sembra arrivare dai lontani anni ottanta, però
il tessuto è fedele alla linea del gruppo, quasi come se i
Mission avessero fatto un brano prog metal. Strana “The Cass
Corridor”, un heavy blues sguaiato dove si ripete varie volte
il neologismo “kick out the jams” di MC5 memoria. Brano
facile e vagamente riempitivo è “Water’s on Fire”,
che precede la conclusiva title track. Ospite d’onore certo
Ian Anderson. Oltre al contributo del veterano, troviamo un brano
denso di malinconia, altra ballata elettrica con bell’assolo
di chitarra.
Ritorno molto gradito per una band che vanta circa venticinque anni
di storia e che pare avere ancora molte cose da dire, se una volta
dietro ad una reunion come questa sembravano celarsi gretti motivi
commerciali, credo che oggi, con la crisi imperante e perdurante del
mercato discografico, questi dubbi siano del tutto privi di ogni legittimità,
quindi se vi piace il prog a forti tinte rock non mancate di avvicinarvi
ai Tea Party, il rock canadese è tornato a graffiare. GB
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