Il trio composto da Davide Chiari, Simone Ferrari e il robot che dà
il nome al progetto, Tin Woodman appunto, consegna alle stampe il
secondo album. In questi tempi di chiusure e restrizioni, il progetto
di questi musicisti ha avuto modo di crescere e maturare. Il contesto
musicale in cui si muovono è sempre il rock a cavallo tra seconda
decade dei ’70 e gli ’80, senza tralasciare quanto è
uscito dall’Inghilterra fino ai giorni nostri. Un mix di varie
influenze, che non disdegna di mescolare pop, funky ed elettronica.
La cultura di questi musicisti è vasta, oggi grazie ad internet
è più facile, ma fortunatamente serve “gusto”
per trovare le cose “buone” a cui attingere, questa è
la dote che fa la differenza e nella musica di questo strano trio
si avverte.
Come inizia a scorrere la prima traccia si sente subito che i Tin
Woodman hanno carattere e si viene catturati dalle loro melodie, che
arrivano veloci e mettono nell’ascoltatore la curiosità
di andare più in profondità. Un mix di leggerezza e
soluzioni ricercate, mai scontate e quando pensi di aver capito come
evolve il brano resti sorpreso da una svolta inattesa. La seconda
traccia “Roverbot” rimanda all’eleganza di Donald
Fagen, un funky morbido ricco di vibrazioni. Mentre “Lovers”
è molto brit pop. Ogni traccia ha una sua fisionomia e nel
suo insieme l’album è vario, ma soprattutto non c’è
un pezzo “brutto” e nemmeno “riempitivo”.
Chiari e Ferrari sono due vulcani di idee, artisti che all’estero
ci potrebbero invidiare. GB
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