Il
nuovo album dei TFH, credo sia l’ottavo, è nato in modo
particolare, col crowfunding e con una partecipazione diretta dei
donatori che sono stati coinvolti in alcune scelte della band. Attivi
fin dagli anni ’90 questi musicisti si sono distinti per aver
incluso nel loro sound le influenze più diverse. Il prog più
classico è stato mescolato con molte musiche anche lontane
per attitudine, parlo di artisti appartenenti alla new wave degli
anni ottanta, in tutte le sue declinazioni.
Anche in questo nuovo lavoro, ad esempio, troviamo una cover dei Pink
Floyd e una dei Tuxedomoon. Ma io ci ho sentito anche qualche cosa
di Joe Jackson. Ovviamente tutto è venato di psichedelia, intesa
come approccio libero e visionario alla musica. Il disco è
stato stampato su vinile e solo esaurite le copie è stato diffuso
sulle piattaforme come Bandcamp. È composto di sei tracce,
le due già citate più quattro composizioni del gruppo.
Molto interessanti le riletture, bellissimo l’assolo di sax
nel brano dei Tuxedomoon, seguito da un solo di chitarra veramente
ispirato. In ogni caso vorrei concentrare l’attenzione sui loro
brani. Harold & Maps parte proprio da sonorità a cui abbiamo
accennato, un prog mescolato con sonorità Steely Dan e Joe
Jackson, la parte centrale è dominata da un bel dialogo tra
organo e chitarra, poi parte la magia del sax. La title track è
il brano più prog del disco, anche se ci sono dei lampi di
genio nel cantato che mi hanno fatto pensare anche al mitico Arthur
Brown e ovviamente a Peter Hammill. Nel mezzo una sezione ricca di
gustose follie psichedeliche ai limiti dello space rock. I Creatori
Del Danno è un brano visionario, ancora fedele all’amore
per la musica onirica, facile l’accostamento ai Floyd. Nella
conclusiva Sand Veil Groove viene offerta una personale rilettura
dello space rock, un ulteriore tocco di personalità in un disco
che offre diversi momenti originali.
I TFH rappresentano una voce veramente originale del nostro panorama
musicale e vista la scena che ci circonda forse non ce li meritiamo.
Un disco da gustare in profondità. GB
Altre recensioni: Ladybirds
|