Michael
Clayton (bt), Jimi Kennedy (bs), Brooke St. James (ch) e Danny Vaughn
(vc) tornano insieme nei riformati Tyketto a ben diciotto anni di
distanza da "Strenght In Numbers", che in piena esplosione
grunge tentò di bissare il successo artistico del classico
"Don't Come Easy" (1991).
Le undici canzoni racchiuse in "DID" sono il frutto di artisti
maturi e maturati, che sanno sopperire con grande classe e maestria
all'inevitabile progressivo estinguersi del fuoco sacro che caratterizza
i ventenni, pertanto non cercate una copia 'riveduta e corretta' del
classico hit "Forever Young". Potrete, comunque trovare,
una sequenza di possibili hit-singles dai refrains altamente orecchiabili
eseguiti su una base strumentale energica e dinamica che non si vergogna
di denunciare le proprie radici nell'hard rock americano degli anni
ottanta.
"Faithless" apre le danze con un riff diretto e duro di
St.James che, insieme all'intatta classe vocale di Vaughn, mi ha proiettato
ai fasti del loro album d'esordio e probabilmente si tratta anche
del migliore episodio del cd. Da "Love To Love" in poi i
Tyketto indugiano nel mescolare chitarre acustiche ed elettriche,
sprigionando americanicità da ogni micro-solco, con l'orecchiabile
"Here's Hoping It Hurts" che strizza all'occhio al pop-rock
come la semi-ballad "Battle Lines", dove i Tyketto giocano
su melodie sicure. L'aspro assolo che introduce "The Fight Left
In Me" si stempera presto in tempo medio discreto che sfocia
in un ritornello accattivante, ma nei successivi momenti la band torna
a giocare con sonorità più mainstream-classic-rock,
seppur di buona qualità. Ci avviciniamo alla conclusione con
"Let This One Slide" (fra Extreme e vecchi Tyketto) e la
toccante ballad "This Is How We Say Goodbye" tipica del
repertorio solista di Vaughn.
Un buon prodotto da approcciare con lo spirito giusto, ovvero quello
di non trovarsi dinanzi ad un "Don't Come Easy 2.0", sapendo
che la sapienza compositiva del ritrovato quartetto non difetta in
quanto a qualità. ABe
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