Siamo al terzo
album per gli Underfloor, che perdono per strada il chitarrista e
cantante Matteo Urro, sostituito alla voce dal bassista Guido Melis
e giungono quindi alla fatidica tappa con una formazione rinnovata,
che vede l’ingresso del chitarrista Marco Superti e della violista
Giulia Nuti, presente però solo in un brano di quest’album.
Il sound della band toscana ha subito un cambio abbastanza radicale,
molto meno ruvido del passato e molto più etereo ed onirico.
Il primo pezzo omonimo fa da ponte d’unione tra il passato del
gruppo e il nuovo corso, il rock graffiante è ancora ben presente,
ma il secondo brano “Nell’Aria” è già
molto più sognante, mi vengono in mente le formazioni del recente
pop inglese, come Radiohead e Gorillaz. A dire il vero il nuovo corso
del gruppo non mi convince molto, la voce di Melis non cattura la
mia attenzione e i testi onirici mi risultano troppo ermetici e non
hanno una linea melodica che si integra bene con le musiche, sono
come parole sospese, quasi salmodiate, che alla lunga mi risultano
stucchevoli e pretenziose, come ad esempio: “Fiamme giù
in città sfidano la mia vanità” canta Melis in
“Sulla Mia Pelle” e io mi chiedo il senso di queste parole.
Ma ogni testo contiene momenti simili, non che i testi debbano avere
per forza un senso, però…
Da un punto di vista strettamente musicale ci sono delle buone idee,
le parti strumentali non sono male, anche se la sudditanza con quanto
è uscito negli ultimi dieci anni dalla terra d’Albione
è davvero forte. Ottima la produzione di Ernesto De Pascale,
che purtroppo ci ha recentemente lasciati, regalandoci questa ultima
fatica come testamento artistico.
In definitiva la band c’è, ma questo disco presenta più
ombre che luci, si sente che c’è stato un forte impegno
compositivo, ma i risultati secondo me non sono così lusinghieri
e francamente mi piacevano di più nei dischi precedenti. GB
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