Dario
Mollo è tornato e ci regala un secondo capitolo del progetto
Voodoo Hill con il grande Glenn Hughes. Da sola questa notizia ci
riempie di gioia e sarebbero mille i motivi: Mr Hughes diventa sempre
un po' di più "italiano", Mollo, invece, sempre un
po' più internazionale, la Frontiers sempre un po' più
autorevole in un mercato che è sempre più difficile
e questi sono solo i primi pensieri che mi passano per la mente mentre
scorrono le note calde di questo bellissimo cd.
Sono passati quattro anni dal primo capitolo, che spero tutti i nostri
lettori abbiano imparato ad amare, e il nuovo album si dimostra molto
più forte del precedente, i suoni sono più duri e aggressivi,
mentre Glenn sfodera una grinta veramente inossidabile, ma dove trova
tanta energia?
La formazione vede l'ingresso del bassista Fulvio Gaslini, invece
sono rimasti al loro posto il tastierista Dario Patti e il batterista
Roberto Gualdi, musicisti molto preparati che conferiscono corposità
al progetto, che ha veramente un respiro internazionale.
Ma veniamo ai pezzi, apre "Make Believe" con un riffone
cadenzato e cattivo ad opera di un Mollo sempre più sicuro
dei propri mezzi, poi entra the Voice of Rock con le sue timbriche
più calde e un interpretazione molto sentita. "Dying to
Live" è puro heavy metal anthemico che ricorda gli ultimi
Black Sabbath. Con "Still Evergreen" si continua a correre
con la sezione ritmica che fa gli straordinari. "Atmosphere"
è più cadenzata e permette di apprezzare tutte le evoluzioni
vocali tipiche di Glenn, che come al solito da un'interpretazione
da brivido. La title track è un pezzo ricco di pathos, hard
rock stellare, un brano che se fosse stato partorito negli anni settanta
sarebbe diventato un mega classico. "My Eyes Don't See It"
è un brano divertente, quasi AOR, che rallenta la corsa del
disco, ma che ci sta anche bene. Ottimo hard anche in "Can't
Stop Falling" e si continua a rockkare con "Nothing Stays
the Same", che ha delle linee melodiche molto belle. "Soul
Protector" è ancora un grande Hughes, mentre il metallo
torna a scorrere in "She Cast No Shadow". "16 Guns"
è una piece malinconica, una ballad molto elettrica che ci
regala le magie finali di questo album imperdibile e chiude in bellezza
un lavoro tutto da gustare.
Trascorsi oltre cinquanta minuti in compagnia di questi due leoni
viene da esclamare "Ma come è già finito? We Want
More!" GB
Intervista
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