David Coverdale non si arrende (non è l’unico del resto,
per fortuna!) ed eccolo a festeggiare i trent’anni di carriera
della sua fortunata creatura, i Whitesnake, che hanno dimostrato una
longevità per certi versi sorprendente, del resto sono sempre
stati un gruppo piuttosto “nostalgico”, hanno perseguito
a fare musica seventies oriented quando il mondo andava da tutt’altra
parte e non si può dire che le cose siano andate poi tanto
male. In fondo hanno sempre trovato un pubblico pronto ad accogliere
le loro uscite. Vero è che questo disco rompe un silenzio discografico
durato un decennio, ma la musica che si ascolta in questo dischetto
è lo stesso hard rock pieno di energia di sempre.
Ovviamente l’opener non poteva che essere un brano d’assalto,
ottimo il riffing di chitarre della coppia composta da Doug Aldrich
e Reb Beach, cattivo e deciso ed è subito una bella iniezione
di energia. David canta con una grinta da far invidia e da vita ad
una performance memorabile. L’avvio non poteva essere migliore.
Molto incisiva anche la potente “Can You Hear the Wind Blow”,
che è già un classico di hard rock all’ennesima
potenza, anche meglio del brano precedentre, da brividi. Con “Call
On Me” si continua a crescere in intensità, non c’è
un attimo di cedimento, davvero Coverdale e soci sono nel pieno dell’ispirazione.
Prima o poi la ballad doveva arrivare e allora eccola, “All
I Want All I Need”, ma ecco anche il primo passo falso del disco,
di certo è un bel brano, ma manca di quello spunto che ne fa
un pezzo memorabile, è solo una delle tante… ma con un
coro molto ficcante. La track che da il titolo al disco è un
pezzo molto duro e cattivo, ma a mio parere ha un corus che perde
di efficacia, David ci canta sopra con grande passione, ma il rallentamento
del ritmo affloscia il risultato, buono il ponte col l’assolo.
“All For Love” è un mid tempo che infiamma. “Summer
Rain” è una seconda ballad, sempre convenzionale, ma
stavolta un po’ più convincente. “Lay Down Your
Love” è molto zeppeliniana, mentre “A Fool In Love”
ricorda molto il repertorio di Glenn Hughes, un brano molto prevedibile,
una caduta di tono recuperata in parte con la buona “Got What
You Need”. Chiude la terza ballad dal sapote western, un blues
malinconico che chiude un album che segna un gradito ritorno.
Ovviamente si tratta di un album destinato a tutti gli appassionati
delle sonorità hard seventies, che piacerà ai più
con la sua ora circa di musica muscolosa e suonata come si deve. Difficile
dire se in questi tempi di profonda crisi discografica questo disco
possa trovare nuovi appassionati, ma di certo i vecchi fans non si
tireranno indietro. Bentornato David! GB |