Rock Impressions

Whitesnake - Good to Be Bad WHITESNAKE - Good to Be Bad
SPV
Distribuzione italiana: Audioglobe
Genere: Hard Rock
Support: CD - 2008

David Coverdale non si arrende (non è l’unico del resto, per fortuna!) ed eccolo a festeggiare i trent’anni di carriera della sua fortunata creatura, i Whitesnake, che hanno dimostrato una longevità per certi versi sorprendente, del resto sono sempre stati un gruppo piuttosto “nostalgico”, hanno perseguito a fare musica seventies oriented quando il mondo andava da tutt’altra parte e non si può dire che le cose siano andate poi tanto male. In fondo hanno sempre trovato un pubblico pronto ad accogliere le loro uscite. Vero è che questo disco rompe un silenzio discografico durato un decennio, ma la musica che si ascolta in questo dischetto è lo stesso hard rock pieno di energia di sempre.

Ovviamente l’opener non poteva che essere un brano d’assalto, ottimo il riffing di chitarre della coppia composta da Doug Aldrich e Reb Beach, cattivo e deciso ed è subito una bella iniezione di energia. David canta con una grinta da far invidia e da vita ad una performance memorabile. L’avvio non poteva essere migliore. Molto incisiva anche la potente “Can You Hear the Wind Blow”, che è già un classico di hard rock all’ennesima potenza, anche meglio del brano precedentre, da brividi. Con “Call On Me” si continua a crescere in intensità, non c’è un attimo di cedimento, davvero Coverdale e soci sono nel pieno dell’ispirazione. Prima o poi la ballad doveva arrivare e allora eccola, “All I Want All I Need”, ma ecco anche il primo passo falso del disco, di certo è un bel brano, ma manca di quello spunto che ne fa un pezzo memorabile, è solo una delle tante… ma con un coro molto ficcante. La track che da il titolo al disco è un pezzo molto duro e cattivo, ma a mio parere ha un corus che perde di efficacia, David ci canta sopra con grande passione, ma il rallentamento del ritmo affloscia il risultato, buono il ponte col l’assolo. “All For Love” è un mid tempo che infiamma. “Summer Rain” è una seconda ballad, sempre convenzionale, ma stavolta un po’ più convincente. “Lay Down Your Love” è molto zeppeliniana, mentre “A Fool In Love” ricorda molto il repertorio di Glenn Hughes, un brano molto prevedibile, una caduta di tono recuperata in parte con la buona “Got What You Need”. Chiude la terza ballad dal sapote western, un blues malinconico che chiude un album che segna un gradito ritorno.

Ovviamente si tratta di un album destinato a tutti gli appassionati delle sonorità hard seventies, che piacerà ai più con la sua ora circa di musica muscolosa e suonata come si deve. Difficile dire se in questi tempi di profonda crisi discografica questo disco possa trovare nuovi appassionati, ma di certo i vecchi fans non si tireranno indietro. Bentornato David! GB


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