Ottavo album per questa band minore di rock sudista in attività
fin dalla metà degli anni ottanta e primo album dopo la scomparsa
di uno dei membri fondatori del gruppo, Michael Houser deceduto per
tumore lo scorso anno.
Il sound del gruppo ha un po' di Marshall Tucker Band, un po' di rock
californiano e qualcosa dei Doobie Brothers, ma il risultato è
estremamente fiacco, dejavu e troppo easy listening per i miei gusti.
Non ci sono brutte canzoni, il songwriting è piuttosto vario
e si sente che il gruppo è molto affiatato, ma i difetti riscontrati
pesano molto sul bilancio finale.
Fin dall'iniziale "Fishing", con quel giretto ammiccante
di chitarra acustica in stile cantautorale, si sente il sapore di
minestra riscaldata, per non parlare di episodi bruttini come la scontatissima
country song "Counting Train Cars". Il secondo brano "Thin
Air" mescola il southern con ritmi afro brasiliani, un esperimento
singolare, che non trovo particolarmente interessante. Già
meglio il blues stiracchiato di "Don't Wanna Lose You",
ma che non regge il confronto coi classici. Molto bella e sentita
l'acustica "Longer Look", con delle preziose parti di chitarra,
un isola felice nel mezzo di un repertorio molto ordinario. I riffs
hardeggianti di "Nebulous " e di "Monstrosity"
rialzano le sorti della band e torna la voglia di jammare che ha contraddistinto
la prima parte della carriera dei WP. Pessimo il coretto della finale
"Travelin' Man", da dimenticare.
Il rock sudista ha una tradizione eccezionale fatta di grandi eroi
del calibro di Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd, ZZ Top, Molly Hatchet
tanto per fare qualche nome e che rivive oggi in artisti del calibro
di Govt Mule e Raging Slab. I WP con questo disco si allontanano da
questa tradizione per abbracciare un rock americano di scarso spessore
e che penso interesserà a pochi fuori dai patri confini. GB
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