Nel 2006 il bassista e cantante Mirko Zonca insieme al chitarrista
Mirko Bosco formano i Witche’s Brew con l’intento di dar
vita ad un progetto incentrato sul sound dei primi settanta, alla
batteria si sono alternati vari musicisti, oggi il posto è
occupato da Fankie Brando, mentre alla voce ora ci sono dei guest.
Nel 2008 la formazione registra un primo album live, mentre il primo
vero album dal titolo White Trash Sideshow vede la luce nel 2010 sempre
su Black Widow Records. Da notare che hanno contribuito a questo nuovo
disco personaggi importanti come Nick Turner (Hawkwind), Steve Sylvester
(Death SS), J.C. Cinel (ex Wicked Minds), Martin Grice (Delirium),
Paolo Negri (Wicked Minds, Eletrcic Swan) e Ricky Dal Pane (Buttered
Bacon Biscuit) per sottolineare l’importanza del progetto.
Supersonic Speedfreaks è un disco di massiccio heavy blues
psichedelico fra stoner e doom. Si parte alla grande con un riff torrido,
il tiro è micidiale, “Vintage Wine” è un
brano potente e molto carico, che non lascia indifferenti, impossibile
resistere alla sua forza d’attrazione, tutti gli elementi sono
dosati con grande sapienza e la band dimostra di possedere molto bene
la materia trattata, molto ficcante poi l’assolo di sax, che
si integra bene in questo contesto poco usuale. “What’d
You Want From Me” è sempre molto potente, ma è
più musicale e meno secca, fa da sfondo un hammond assassino,
che spacca, in chiusura viene anche citata Gypsy degli indimenticabili
Uriah Heep. “Children of the Sun” è molto dark,
poi troviamo anche un flauto decisamente evocativo e si aggirano parecchi
fantasmi, uno dei momenti più originali dell’album. “Make
Me Pay” è cantata da Sylvester e si sente, il brano acquisisce
una cattiveria tutta sua, che ricorda per certi versi l’Alice
Cooper più in forma, territorio sempre altamente oscuro, da
fare invidia ai Black Sabbath, l’assolo però è
un po’ incasinato e non è riuscito bene come dovrebbe.
“Tell Me Why” è meno incisiva dei brani precedenti,
ma mantiene una buona continuità. “Magic Essence”
possiede una bella musicalità, la forza della band si riveste
di un arrangiamento carico e rotondo, ne esce un brano meno “cattivo”,
ma molto riuscito. La chiusura è affidata all’anthemica
“Supersonic Wheelchair”, una bella botta finale, di quelle
che tirano su il morale a tutti gli headbangers che non hanno ancora
perso il vizio.
A me piace sempre incontrare questi musicisti innamorati degli anni
’70, di quel modo sincero di fare musica, che ancora oggi non
ha trovato eguali. I Witche’s Brew sono riusciti a reincarnare
questo sound con una padronanza non comune e questo è un merito
non da poco. È anche vero che si stanno moltiplicando gli artisti
che preferiscono guardare a questo passato poi non così lontano,
in un certo senso è una forma di protesta contro il mondo del
digitale e credo che ci sia parecchio da riflettere su questo. GB
-
La
traccia che meglio interpreta lo spirito di "Supersonicspeedfreaks"
è quella che chiude il lavoro, curiosamente indicata, fra l'altro,
come bonus: "Supersonic wheelchair" è una folle corsa
a rotta-di-collo lungo lo sdrucciolevole crinale di un hard rock inselvatichito,
rozzo e primordiale, un suono volutamente incompromesso, spogliato
d'ogni orpello, letteralmente barbarico, una carica pazzesca guidata
dalle chitarre di Mirko Bosco, sostenute da una sezione ritmica sconvolta
e da una voce che ne declama il trionfo. Devastante, saccheggia quaranta
anni di musica, dura e pura, innerbata d'uno spirito anarcoide. Il
secondo lavoro del terzetto lombardo (che vede per il presente albo
l’ingresso del cantante dei Buttered Bacon Biscuits, autori
del brillante “From the solitary woods” dal 2010, classic
rock allo stato brado), la data ufficiale di pubblicazione del quale
è stata significativamente fissata per il 21.12.2012 (scrivo
che è già trascorsa, e non è successo nulla...)
si apre con la lunga e psych "Vintage wine", ben condotta
da Ricky Dal Pane in un vorticare di fuliggine, col sax del Delirium
Martin Grice ad ammansire (ma è un'impressione momentanea)
la bizzosa creatura sonica pungolata dai nostri. E' Paolo Apollo Negri
(un vero e proprio key-wizard) a rendere ancora più magniloquente
"What d'you want from me", manifesto di hard tastieristico
edificato su d'un wall of sound imponente: uno degli episodi più
significativi dello sparuto lotto che compone "Supersonicspeedfreaks",
anche nel contenuto assolutamente essenziale, fedele a quello spirito
che animava le opere dei sessanta/settanta, quando il vinile costringeva
l'artista ad esprimersi in un minutaggio ridotto, esigendo così
solo il meglio, il più puro distillato della propria maestria.
E’ significativa la presenza del flauto di Nik Turner sulla
spacey “Children of the sun” ch’egli co-firmò
col collega Dave Anderson (da “In search of space”, ottobre
1971): un brano che si colloca con gran naturalezza tra le originali
proposte dal combo, e che precede la luciferina “Make me pay”
interpretata da Steve Sylvester. Enigmatico, il brano srotola i canoni
del proto-dark progressivo, rileggendoli colla sfrontatezza di chi
sa maneggiare la materia. “Tell me why” è un blocco
di granito che non si sfalda nemmeno sotto i colpi di maglio sferrati
da Zonca e compagni, “Magic essence” avanza con piglio
sabbathiano, affonda nelle acque limacciose della Lousiana e da queste
emerge trascinata da una grande interpretazione di J.C. Cinel, che
con Negri ricompone una formidabile coppia d’assi. Se l’esordio
(su CD, non considerando il live su vinile “Pentatonicspeedfreaks”,
primo singulto del gruppo datato 2008 e registrato nel corso d’una
tournee austriaca) spacco critica e pubblico in due tronconi, pure
"Supersonicspeedfreaks" non intende scendere a compromessi:
Witche’s Brew, fango e chaos, prendere o lasciare. AM
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