The
Mantle è la seconda opera degli americani Agalloch, dopo il
debutto Pale Folklore del '99 e un mini CD dello scorso anno. Non
conoscendo i capitoli precedenti della loro saga non posso fare dei
paragoni, ma questo disco mi ha veramente affascinato.
Il loro sound è quanto mai suggestivo, brani dilatati e intensi
che uniscono vari generi musicali creando una soluzione molto originale
e ricca di magia, per quasi settanta minuti di grande musica. I primi
riferimenti che mi vengono in mente sono i Sol Invictus e il folk
naturalista e neopagano, ma il discorso viene ampliato da inserti
di derivazione metal nelle melodie e nella costruzione dei brani a
metà fra il doom e il goth metal di gruppi come i Fields Of
The Nephilim.
"In the Shadow of our Pale Companion" segue una breve traccia
introduttiva e con i suoi oltre quattordici minuti di musica lirica
ed evocativa esprime l'apice compositivo dell'album. Una base ritmica
di chitarra acustica crea il tappeto su cui si inseriscono gli altri
strumenti e gli inserti compositivi, ma il brano è troppo complesso
per essere descritto nei particolari. "Odal" è introdotto
dal rumore di un branco di animali in corsa e questo amore per la
natura, per la sua bellezza e per la sua forza, pervade tutto il disco,
che possiede un'intensità celebrativa densa di malinconia e
ammirazione. Talvolta si sfiora anche il Black Metal, ma in un contesto
armonico che perfeziona il risultato complessivo. La ballata triste
di "The Lodge" con i suoi giri di chitarra ci trasporta
ancora in mondi paralleli fatti di elfi e folletti, creature legate
alla natura in modo indissolubile, mentre la metallica "You Were
But a Ghost in my Arms" possiede la forza di un lamento che è
memoria e denuncia al tempo stesso. "The Hawthorne Passage"
è un altro brano lungo dall'intensità cerimoniale, carico
di lirismo. Un disco da non perdere! GB
Altre recensioni: Ashes Against the Grain
Interviste: 2006
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