Rock Impressions
 

INTERVISTA AGLI ANTIMATTER con Mick Moss (versione inglese)
di Giancarlo Bolther

Per cominciare puoi raccontarci la storia della band? Tu hai collaborato con Duncan Patterson. Siete ancora in contatto?
Antimatter è un progetto che risale al 1998. L’idea è venuta a Duncan Patterson, che mi ha proposto di lavorare assieme a lui dopo aver ascoltato il mio progetto solista. Ho lavorato dal 1995 scrivendo canzoni e registrando demo, e nello stesso periodo Duncan stava pensando di lasciare gli Anathema e proseguire per conto suo. È cominciato tutto così, come fusione di due blocchi di lavoro separati. Abbiamo realizzato tre album come questo e da quando nel 2005 Duncan se ne è andato, io ho proseguito con gli Antimatter, realizzando altri due album, “Leaving Eden” nel 2007 e l’ultimo, “Fear Of A Unique Identity”, nel 2012.
Quanto al nome della band, è stato Duncan a trovarlo, nel 1999. Cercavamo un nome da dare al progetto. Io ero per Absolution (anni prima di “Absolution” dei Muse), mentre Duncan ha suggerito Antimatter. In quel periodo uscivamo tutti e due da esperienze psicologiche molto simili e il nome Antimatter, che dà l’idea di una realtà invertita, ci è sembrato molto adatto, anche se l’altro sarebbe andato ugualmente bene (e in effetti se il progetto si fosse chiamato Absolution avrei avuto meno problemi di ambiguità nel portarlo avanti da solo dopo il 2005). Sono ancora in contatto con Duncan. Abitiamo molto vicini e continuiamo a essere buoni amici.

Sono passati quattro anni dall’ultimo lavoro in studio. Perché un tempo così lungo e quanto ti senti cambiato da allora?
Gli anni successivi all’ultimo album registrato in studio sono stati molto pieni. Ho impiegato un anno a scrivere “Alternative Matter” perché avevo molte vecchie registrazioni da ripulire e integrare e un libro di un centinaio di pagine da riarrangiare. Nel frattempo ho realizzato un DVD e preparato un documentario. A parte questo ho realizzato un singolo,“Broken Smile” (con The Beautified Project), che ha raggiunto il numero 1 della più importante classifica musicale armena. Per due volte ho accompagnato i Marillion, su loro richiesta, e ho creato una mia etichetta “Musis in Stone” per la realizzazione di un album live. Senza contare un esaurimento nervoso, l’acquisto di una casa e due album, uno dei quali è “Fear Of A Unique Identity”, che mi sono forzato di fare al meglio, senza nessuna fretta. Un periodo veramente impegnativo. Non è stato facile ritornare a scrivere e arrangiare dopo la pausa che mi sono preso per lavorare su “Live@An Club” and “Alternative Matter”, visto che il processo creativo per me è qualcosa di molto simile all’allenamento muscolare. Se non usi un muscolo alla fine si indebolisce. Per cui ho dovuto forzare un po’ la mano per rimettermi in carreggiata, ma una volta ritrovati i ritmi giusti mi sono accorto che scrivevo e lavoravo con una creatività che probabilmente non avevo mai sperimentato prima. Quanto sono cambiato in questi ultimi cinque anni si vede dal fatto che la mia musica è molto più energica oggi che in passato.

Puoi parlarci dei brani di “Fear of a Unique Identity”?
Nell’album ho preso in esame il tema della pressione che imponiamo a noi stessi per conformarci alla nostra percezione delle masse per non sentirci eccentrici, o addirittura sbagliati, se siamo “diversi” dagli altri. Lo scambio tra l’unicità del carattere di ognuno e quello che viene accettato come standard per evitare di attirarsi addosso l’attenzione malevola degli altri. Mi sono concentrato in modo specifico sul contesto urbano e sulle varie strutture mentali che ci si trovano dentro. Poi ho esteso il concetto a una visione più ampia, più universale e storica, e al pericolo del conformismo quando lo standard a cui ci si uniforma è negativo.

Il vostro nuovo album è molto atmosferico, in alcuni passi mi ricorda il nuovo lavoro degli Anathema, una band davvero importante per quanto riguarda l’evoluzione della musica. Credi di percorrere anche tu la stessa strada?
Gli Anathema seguono una strada diversa da quella che seguiamo noi, da un punto di vista sia musicale sia concettuale. È vero che Danny Cavanagh e io condividiamo alcune influenze musicali, che di tanto in tanto emergono in quello che scriviamo, ma tutto sommato trovo difficile vedere una linea diretta tra i due progetti. In questo momento gli Anathema sono fortemente proiettati verso lo strumento dell’auto-aiuto mentre io nel nuovo album ho formulato la mia personale ipotesi sul lato oscuro della sociologia, della psicologia, della politica. Anche dal punto di vista musicale è difficile fare una comparazione. Ma hai ragione per quanto riguarda l’atmosfera. Nella musica io tendo a riferirmi a certe sensazioni e lo stesso fanno gli Anathema, ma guardando a sensazioni diverse.

Dove trovi l’ispirazione per scrivere i tuoi testi e come componi le tue canzoni?
Il desiderio di scrivere viene da due posti diversi. I testi da un posto oscuro, da un sentimento di rabbia, di insoddisfazione verso alcuni degli aspetti della vita, la musica invece viene da un posto molto luminoso. Oggi gli album per la maggior parte aderiscono a un concetto. “Leaving Eden“ era un concept album, così come lo è “Fear of a Unique Identity”, e ho già tracciato il tema per i prossimi due album. Quando compongo, di solito mi basta una seduta per buttare giù una canzone, che poi arricchisco e arrangio nelle settimane o nei mesi successivi. Generalmente il nucleo viene fuori in una volta, e nello stesso tempo mi viene in mente il tema. Non è sempre questo il caso, naturalmente.

Mi piace molto il titolo dell’album. Che cosa significa esattamente? Qual è il messaggio che intendi trasmettere?
Il titolo si riferisce alla paura della gente di non riuscire a mescolarsi nella folla. Il messaggio è chiaro e sta nel titolo dell’album. Non censurarti, non cambiare per paura o per stupidità. Sii te stesso, sempre che essere te stesso ti porti a praticare una moralità positiva. Si spera che siano pochi quelli che si nascondono dietro ridicole facciate da “machi” o quelli che soffocano il proprio slancio. Se questo fallisce, e gli esseri umani hanno davvero una tendenza immutabile ad adattarsi alla massa, allora non sarebbe il caso di impegnarsi perché questa massa sia un’entità positiva che si adopera per il bene anziché la cosa fredda e egoista che domina le nostre aree urbane?

Potresti mettere a confronto il nuovo album con i precedenti?
Ci sono argomenti che uniscono il nuovo album all’ultimo, così come ce ne sono altri dagli album precedenti, insieme a nuove sonorità, nuovi orientamenti. Nel 2008, dopo “Leaving Eden” sapevo di voler tentare qualcosa di differente. Ho scritto una canzone dal titolo “Eyes Burning Holes”, poi ho preparato un demo, che però suonava come fosse una traccia di “Leaving Eden”. Questa cosa mi ha dato molto fastidio per cui mi sono preso del tempo per calmarmi e trovare una nuova dimensione. In seguito, come ho già detto prima, mi sono immerso in mille altre cose, perciò quando c’è stato bisogno di scrivere non ho potuto perché ero troppo impegnato. Tutta energia repressa che non trovava sfogo. Non appena mi sono dato del tempo la musica è venuta fuori spontaneamente e io le ho lasciato prendere la forma che ha voluto prendere. È andata in un modo molto simile a quando ho scritto “Saviour”, tutto molto spontaneo. Mi ero reso conto che negli anni, a partire da “Lights Out”, il suono degli Antimatter si era ripulito e raffinato. Con “Leaving Eden” si è definito. A questo punto ho sentito il bisogno di portarlo allo scoperto. Certamente ci sono riuscito con “Fear Of A Unique Identity”, e sono sicuro che i fans saranno d’accordo con me. Continuo a muovermi da un tema all’altro. Le canzoni del primo album parlavano di amore e di morte, nel secondo album mi sono occupato di follia e di machismo, nel terzo di perdita, di alienazione, di clonazione urbana maligna e della scena musicale di Liverpool. “Leaving Eden” esaminava la sconfitta da ogni angolo possibile. Quello che è sembrato mantenersi costante per i primi quattro album è stato il mio approccio coi testi, quando si è trattato di affrontare questi temi. Erano tutti così personali. Per “Fear Of A Unique Identity” credo di aver consapevolmente fatto lo sforzo di aprire il mio stile di scrittura. È tutto in costante evoluzione e si è visto in modo netto negli ultimi tre album in studio, ognuno dei quali non sembrava avere nulla di paragonabile al precedente. C’è un milione di cose che voglio tentare, per cui cambierò sempre. Almeno lo spero.

Nei tuoi album parli di religione, di spiritualità e di filosofia. Che opinione hai in proposito?
La filosofia è quello che mi è ribollito in testa negli ultimi venti anni e non mi pare che la cosa stia cambiando. Come esseri pensanti dovremmo tutti mettere alla prova noi stessi e le nostre percezioni in ogni modo possibile, così da crescere e diventare più consapevoli. Ovviamente la natura della filosofia ci dice che non capiremo mai veramente, ma nella sua ricerca possiamo comunque illuminarci. La religione è un caso differente, il polo opposto della filosofia, secondo me.

Ho l’impressione che l’interesse per i temi spirituali stia crescendo. Tu sei d’accordo? E quanto c’è di spirituale in te?
Il tema della spiritualità mi ha riguardato venti anni fa. Se ci ripenso, credo di essere stato la persona più spirituale tra tutte quelle che conosco, e ho sempre cercato di persuadere la gente a essere come me, il più delle volte senza successo. La spiritualità è un tema che ho indagato tanto tempo fa, e quello che ho imparato allora me lo porto dietro ancora adesso, comunque sono molto tranquillo al riguardo. Ultimamente sembra che tutti parlino di questo, ma nonostante l’interesse crescente non è un argomento di cui parlo molto. In ogni modo c’è un album degli Antimatter che ho già in mente, il settimo (dopo “The Judas Table”), che esaminerà proprio il mio lato spirituale.

Ho assistito a un vostro concerto a Vicenza, nel 2007, con Leafblade. Era un live acustico. Ricordi qualcosa di quel tour?
Hmn, non tanto. Ricordo di aver passato dei bei momenti assieme a Sean dei Leafblade. Avevamo legato molto. Si possono creare grandi amicizie strada facendo, quando si viaggia con altra gente, l’importante è che ci sia l’affinità. Mi ricordo anche che qualche giorno più tardi ho incontrato Vic Anselmo. Ho la memoria un po’ annebbiata, purtroppo!!

Come vivi la realtà di tutti i giorni al di fuori della band? Che tipo di persona sei? E che tipo di artista?
Come ogni persona ho lati negativi e lati positivi. Antimatter esplora il mio lato più negativo ma non per questo posso dire di essere una persona scura. Ho dell’oscurità in me, come tutti, ma non arriva certo al 100% della mia personalità. Chi mi conosce sa bene che faccio quello che posso per migliorare il mio umore. Il senso dell’umorismo non mi manca, è anche forte, dopo tutto sono di Liverpool. Siamo conosciuti proprio per questo. Nella vita di tutti i giorni continuo a lavorare con la musica, che è ciò che mi rende felice, che mi fa bene. Mi piace anche muovermi, vedere il mondo, guardare il viso della gente che incontro.

Tutti noi passiamo momenti bui nella vita. Ti va di raccontarcene alcuni dei tuoi?
Lo faccio nelle canzoni.

Qual è la più grande soddisfazione che ti sia capitata nella tua carriera musicale?
Tutto ciò che riesco a realizzare mi dà soddisfazione. Anche se la soddisfazione più grande è continuare a fare musica di cui sono orgoglioso e avere fatto di questo il mio modo di vivere. Sono molto fortunato per questo. Comunque ho lavorato sodo per ottenere certi risultati.

Puoi chiudere l’intervista come ti piace di più.
Assicuratevi di controllare antimatteronline.com and/or facebook.com/antimatteronline per aggiornamenti regolari sui live e sulle news. Grazie a tutti per il sostegno continuo e spero di vedere alcuni di voi ai nostri spettacoli di marzo 2013. Seguiteci online, grazie!!!

GB

Recensioni: Saviour; Leaving Eden; Fear of a Unique Identity

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