Gli Autunna Et Sa Rose sono sempre stati un gruppo scomodo, per certi
versi disturbante, nel senso che obbligano ad un ascolto profondo,
non superficiale, cosa che non è tanto usuale di questi tempi,
l’alternativa, per certi versi tragica, è quella di togliere
il cd dopo il primo assaggio. Il loro percorso artistico arriva a
questo nuovo capitolo con una continuità e una coerenza invidiabili,
che hanno conquistato al gruppo una credibilità e viste le
premesse direi che è un risultato non da poco.
Phalène d’Onix è un disco particolarmente cupo,
lo si vede fin dalla copertina, dove una farfalla viola scuro traspare
su un nero totale, quasi lugubre e le note di apertura ne sono lo
specchio, suoni apocalittici, da dramma, molto teatrali, quasi fisici,
poi entra un testo declamato da una voce disperata e angosciata, la
prima parte è particolarmente ermetica e francamente mi è
sembrata più un esercizio di stile: “… raggi cardiaci
che rimbalzano crudi su crittografate pareti, irreali, inconcepibili
figure d’astio…” non sono versi facili. La possiamo
definire musica classica post moderna, i suoni sono minimali, sospesi,
spesso disarticolati e volutamente dissonanti, gotici come non mai,
non sembra esserci una vera e propria linea melodica e il tutto assume
la forma di una continua improvvisazione. Potremmo chiamarlo avantgarde
gothic, ci sono undici artisti che si alternano nei vari brani, abbiamo
quattro archi, un clarinetto, un pianoforte, un basso, le percussioni
due cantanti, un soprano e un mezzo soprano e un narratore, ne esce
un mix labirintico, ossessivo, ma di cui si avverte lo spessore. Certo
non mancano momenti davvero pesanti, dove l’incomunicabilità
che affligge la nostra cultura attuale diventa musica, ma ci salva
il testo posto all’inizio del booklet, senza la cui lettura
diventa impossibile fruire di tutto il lavoro. “È un
fatto che le Arti possono aiutarci ad essere più consapevoli
dell’Amore dandoci la possibilità di farne un’esperienza
più profonda delle nostre emozioni, di combattere contro ogni
forma di superficialità e di non lasciarci ignorare la loro
intima complessità.” Parole intense.
Le fantasie tetre di questi artisti sono un monito contro la banale
inconsistenza di questi anni difficili, in cui tragicamente impera
il vuoto di contenuti dei media. In certi momenti le scelte espressive
mi sono sembrate troppo cerebrali e quindi ostiche, ma apprezzo molto
l’intento dell’intero progetto, che merita sicuramente
attenzione. GB
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