Ritorna il cantautore del Prog Pierpaolo Bibbò dopo il buon
“Genemesi” del 2012, e lo fa con un argomentazione che
gli sta molto a cuore, l’amore per la propria terra. La Sardegna
è al centro del concept, con le proprie gioie ed i propri dolori,
una terra di colori, musici antichi, e dalle lande aride e secche,
una terra abitata da uomini silenziosi e da suoni magici. Luoghi e
città raccontati dall’artista anche sotto una visione
a tratti dolorosa, ma sentita e piena d’ amore. Bibbò
(voce, tastiere/programmazioni, chitarre acustiche ed elettriche,
chitarra basso, arrangiamenti), intraprende questo percorso assieme
a Simone Spano (batteria acustica e percussioni) e Fabio Orecchioni
(supervisione artistica).
Il risultato si intitola “Via Lattea” ed è composto
da sette canzoni. Le tastiere giocano un ruolo importante, disegnando
nell’aria ambienti ampi, supportando melodie che fanno da ossatura
al brano.” Dal Nuraghe Alla Via Lattea” inizia proprio
così il percorso sonoro, frangenti pacati e spaziosi si alternano
a programmazioni più ritmate. Questo brano strumentale potrebbe
tranquillamente fare parte della discografia Ayreon, ovviamente di
quelli più elettronici e meno metallici, giochi sonori che
vanno a perscrutare proprio lo spazio. Più elettrica “17
Febbraio 1943”, un ritmo serrato che ben si avvinghia con il
canto di Bibbò. Qui non nascondo dei deja vu che vanno a parare
nel nostrano Prog degli anni ’70, specialmente nell’attimo
più pacato dove un piano disegna cerchi sonori cari a band
come Le Orme. Per chi ama il genere è davvero un bell’ascoltare.
“Nient’Altro” apre la strada al Bibbò più
cantautorale, voce e piano ci raccontano momenti intimi e riflessivi,
il lato più caldo dell’artista.
Più ricercata nell’ambito compositivo “Corso Vittorio
Emanuele II (1962)”, altra canzone che lascia intravedere balzi
temporali fra passato e presente. Un certo Battiato potrebbe venire
alla mente durante l’ascolto, il che la dice lunga sulla qualità
del brano.
Ciò che si percepisce all’ascolto di ogni brano è
la libertà con cui l’artista si muove, senza limiti o
costrizioni di sorta, un volo libero che di certo è contagioso
all’ascolto, almeno, io personalmente questo fattore l’ho
captato. Più semplice ed immediata “Il Matto Del Villaggio”
del quale apprezzo i giochi eco della voce. Tornano la chitarra elettrica
ed i cambi di tempo in “Quando Rinascerò”, a grandi
linee si percorrono binari fra canzone e Prog proprio in stile Fabio
Zuffanti quello solista.
Il disco si conclude con “Ho Quasi Smesso Di Sognare”,
una nota di malinconia e di velato pessimismo che comunque donano
carattere al movimento musicale.
Un ritorno importante, sentito e schietto, un disco che non ha nessun
compromesso, una storia importante da raccontare e tanto sentimento,
tutti ingredienti che riescono ad emozionare ed è questo che
la musica deve fare. Missione compiuta. MS
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