Ora
mi rivolgo a chi ci segue da tempo e che ama il Prog Rock, chiedo
scusa se recensisco l’ennesimo disco di un gruppo proveniente
dalla Svezia. Non è colpa mia se questa terra è una
fucina immensa di band dedite a queste sonorità. La cosa più
incredibile è che la maggior parte di esse si ergono a livelli
più che lodevoli. Vengono in mente i soliti nomi, Anglagard,
Anekdoten, etc, ma anche le nuove leve , i Magic Pie, Beardfish, Black
Bonzo e moltissimi altri. I Brighteye Brison si formano nel 2000 grazie
all’intuizione del leader tastierista Linus Kase, durante la
frequentazione del Royal Of Music College di Stoccolma. La band si
completa con Johan Oijen (chitarra), Kristofer Eng (basso), Erik Hammarstorm
(batteria) e Per Hallman alle tastiere. Le influenze sono tutte rivolte
verso gli anni ’70, uno sguardo verso gli ELP, Genesis, Gentle
Giant e compagnia bella. Le tastiere giocano un ruolo dunque molto
importante, ma quello che salta subito all’orecchio sono gli
arrangiamenti.
Ma facciamo un passo indietro, la band nel 2001 realizza il demo “4:AM”,
nel 2003 è la volta del debutto discografico ufficiale dal
titolo “Brighteye Brison” e nel più recente 2006
“Stories” porta lo scettro dell’album della maturità
artistica.
Cosa dobbiamo attenderci dunque in questo “Believers & Deceivers”?
Ovviamente tutto ciò che il Progressive ci ha propinato nella
sua lunghissima esistenza. Incuranti delle mode, gli svedesi ci riportano
indietro nel tempo, nella musica non commerciale, tastiere che accompagnano
il brano in tutto il suo percorso, un gusto per le armonie davvero
spiccato e aperto. Cresce il piacere dell’ascolto nella successiva
“After The Storm”, allegra e ritmata nei suoi sette minuti
e mezzo. Questi primi due, sono gli unici brani di breve durata, perché
a seguire ci aspettano due suite, la prima si chiama “The Harvest”
ed ha la durata di venti minuti e mezzo, la seconda è “The
Grand Event”, con i suoi trentacinque minuti. La band ama esibirsi
in coralità vocali alla Gentle Giant e queste sfiorano addirittura
il plagio in “The Harvest”. I frangenti più belli
sono invece quelli strumentali, specie quando le tastiere si incrociano
far di loro per poi dare spazio agli assolo di chitarra. Inutile sottolineare
la bellezza di questa suite, nella quale si possono avere mille emozioni.
La bellezza del Progressive Rock è proprio riassunta in questi
frangenti sonori. Quando la tecnica si fonde con le migliori melodie,
allora diventa tutto a dir poco ammaliante. “The Grand Event”
si apre con un organo a canne, per poi lasciare campo libero alla
bella voce di Kase. La ritmica ricorda gli IQ, le coralità
gli americani Spock’s Beard, c’è la psichedelica
dei primi Pink Floyd, insomma tanta carne al fuoco per trentacinque
minuti di imponente musica.
Il mio giudizio finale non può che essere positivo, certo che
premiare nel 2008 con elogi un disco che fa musica datata può
sembrare un controsenso, ma la musica quando è ben fatta non
ha tempo. Amanti del vero Progressive Rock, carta e penna e segnatevi
questo nome: Brighteye Brison. MS
Altre recensioni: Stories; The
Magician Chronicles Part I
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