Originariamente uscito su Flying Records nel 1995, la Minotauro lo
ha ristampato a quasi vent’anni dalla pubblicazione, Alkahest
è il disco più maturo e riuscito di Paolo Catena in
ambito doom. Dell’importanza artistica del pesarese in Italia
se ne sono accorti in pochi, intendiamoci, Paolo è sicuramente
molto conosciuto, ma lo spessore del personaggio avrebbe meritato
molta più attenzione. La responsabilità di questo in
un certo senso è stata anche di Catena stesso, che non ha mai
avuto un carattere facile o conciliante, non ha mai fatto nulla per
attirare le simpatie, o lo si amava o lo si odiava, punto. Anche all’estero
Paolo ha raccolto un seguito da culto ed è conosciuto e rispettato,
vanta amicizie la stima di artisti come Wino e Jello Biafra, ma anche
in questo caso, la sua riluttanza categorica a non lasciare l’Italia
e a non imbarcarsi in tour lo ha confinato in un alone di mistero,
facendone un artista veramente di confine. Questo non ha impedito
a Lee Dorrian (ex Napalm Death e Cathedral) di fare un disco con lui,
un disco che è un capolavoro assoluto di doom metal.
Ma veniamo al disco, il primo brano proposto è “Rose
of Winter”, alla voce c’è Paolo, che canta cinque
pezzi, Dorrian gli ultimi quattro, più i cori del terzo. Il
fonetico di Catena è evocativo e la sua voce ha qualcosa che
cattura, il riff portante del pezzo è perfetto, un cadenzato
e granitico giro metallico molto sporco, o se preferite lo-fi, diventerà
un trademark per molti gruppi a venire, soprattutto nello stoner e
in tutto il revival settantiano, Paolo ne è stato un vero precursore.
“Living Today” è ancora più sporca e oscura,
ci sono pochi esempi di metal oscuro così efficace, non siamo
ai livelli del brano In The Darkness, ma non siamo lontani. La discesa
nei meandri oscuri del disco continua con la sepolcrale “Sand
Glass”, si resta sempre stupiti nel sentire quanto sia stato
sempre ispirato e creativo Paolo. Un down tempo che possiede la fisicità
di un megalite preistorico, ai cori c’è Lee. “Three
Water” è aperta da un intro di organo, altra grande passione
del pesarese, che qui ci fornisce una delle sue migliori performance
allo strumento, il pezzo poi è pieno di nostalgia e di un senso
di mestizia, molto riuscita ancora la prova vocale. Sorprende l’apertura
in chiave celtica di “Reality”, il pezzo è un classico
doom, un po sotto la media dei precedenti, ma la mano di Paolo alla
chitarra è sempre coinvolgente.
La parte cantata da Dorrian si apre con un rifacimento della seminale
“Voyage to Hell”, il brano è sempre stato un vero
killer e la voce mefistofelica di Lee lo rende ancora più cupo
e inquietante. “Static End” è meno epocale, è
un brano cadenzato che non sfigura nella raccolta, ma non è
coinvolgente come gli altri. “Lake Without Water” è
giocata su suoni acustici, la voce di Dorrian si fa più serena
e sembra uno di quei lenti dei primi Black Sabbath, densa di una struggente
bellezza. Chiude la pesante “Sepulcral Life”, siamo nel
territorio preferito da Catena, un doom lento e drammatico come solo
lui sa fare e non ce n’è per nessuno, poi la voce di
Dorrian è davvero perfetta per questo pezzo, che brividi.
Ancora oggi questo disco nel suo genere resta insuperato, degno di
stare al vertice di un movimento musicale che a discapito di mode
e classifiche resta molto amato e seguito. GB
Altre recensioni: Detaching From Satan;
Sanctuary Heve;
In The Darkness; Cosmic
Wind
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