Raramente mi è capitato di imbattermi in un libro che mi ha
colpito come questo lavoro di Antonello Cresti, sul folk apocalittico
inglese. Inizialmente pensavo si trattasse della solita enciclopedia
su questo genere musicale molto particolare, un’opera di cui
si comincia a sentire la mancanza, invece con mia sorpresa ho scoperto
che fra le mani avevo un lavoro molto più complesso e ricco.
Cresti non si è limitato a trattare gli artisti principali
di questa scena musicale, ma ha affrontato l’argomento a trecentosessanta
gradi, facendo un’analisi sociale e culturale, che parte da
personaggi vissuti addirittura nel 1500. Cresti ha definito il substrato
culturale nei minimi dettagli e ha dato vita ad una ricerca appassionante
sulla storia del pensiero liberal inglese, che avrebbe portato alcuni
artisti ad intraprendere strade di grande libertà espressiva
e di particolare profondità concettuale.
Ecco allora che viene analizzata la produzione musicale classica,
con la citazione di alcuni compositori a me sconosciuti, poi vengono
analizzati i lasciti intellettuali di vari personaggi fra cui spiccano
senza dubbio esoteristi come John Dee (influente consigliere della
regina Elisabetta I) e del temibile Aleister Crowley (che sembra abbia
avuto relazioni con Churchill). E ancora troviamo l’influenza
di correnti pittoriche come quella Preraffaelita. Si tratta di un’analisi
preziosa e culturalmente molto ricca, che dà la possibilità
al lettore di capire perché si è sviluppato un determinato
pensiero e perché proprio nella compassata Inghilterra. Il
libro di Cresti ci ha permesso di capire che niente è nato
per caso, ma che la storia dell’arte non può essere svincolata
dalla storia generale di un paese, dall’economia, alla sociologia,
alla filosofia, tutto è connesso e correlato, sono tutti sistemi
che influiscono gli uni sugli altri, una interdisciplinarietà
che dovrebbe essere più diffusa fra chi si accinge a scrivere
di qualsiasi argomento e che invece troppo spesso latita negli autori
contemporanei, una mancanza che pesa sempre più gravemente
sulla cultura odierna in generale.
Scendendo più nello specifico Cresti, dopo una veloce panoramica
sui gruppi musicali di fine anni ’60, parte idealmente dall’esperienza
creativa dei Throbbing Gristle, una delle band più trasgressive
di sempre, considerati aq pieno titolo come gli inventori della musica
Industrial. Capitanati da un personaggio ambiguo e a dir poco bizzarro,
tale Genesis P-Orridge, considerato come uno dei massimi artisti concettuali
viventi, i TG hanno sperimentato sonorità nuove e nuovi linguaggi
espressivi, diventando uno dei gruppi più influenti per i decenni
a venire. Sciolti i TG P-Orridge ha continuato sulla strada tracciata
fondando gli Psychic TV, altra band veramente estrema e molto esoterica,
sulla quale circolano alcune leggende maledette, estrema non tanto
nei suoni, ma nella concezione artistica, che ha prodotto una serie
infinita di lavori, tutti molto sperimentali. Tutti i generi musicali
elettronici moderni come l’acid house, la techno e l’EBM
nascono dagli esperimenti di questi artisti. L’analisi di Cresti
prosegue con altre band fondamentali, coi Coil di Balance e Sleazy,
per poi avvicinarsi a band più vicine al folk come i Current
93, i Death in June e i Sol Invictus, tutte formazioni il cui approfondimento
è indispensabile per capire in profondità il genere
trattato.
In chiusura del libro ci sono delle interessanti interviste a testimoni
qualificati di quanto raccontato, la prima è a Steve Sylvester
e verte, manco a dirlo, sul personaggio di Crowley. La seconda è
a Luca Rimbotti sul tema delle ideologie politiche connesse alla musica
e infine la terza è a Vittore Baroni, altra penna molto importante
del giornalismo musicale italico e verte sul ruolo dei Throbbing Gristle.
Come compendio finale ci sono delle discografie dettagliate, una sitografia,
una filmografia e l’immancabile bibliografia, tutte curatissime.
Ho trovato davvero molti spunti di grande interesse in questo libro,
che propone una ricostruzione meticolosa di questi movimenti musicali.
Talvolta Cresti usa un linguaggio un po’ erudito, con citazioni
che non sono sempre alla portata di tutti, ma sono piccole sfumature,
che non minano la fruibilità complessiva del testo, anzi che
possono essere un invito e uno stimolo per il lettore per fare ulteriri
ricerche e approfondimenti. Devo però sottolineare che non
ho sempre condiviso l’entusiasmo espresso da Cresti nei confronti
di alcuni personaggi di cui l’autore ha raccontato solo gli
aspetti positivi, tralasciando del tutto quelli più problematici,
in un’analisi accurata come la sua sarebbe stato lecito aspettarsi
un maggior approfondimento anche degli aspetti più spigolosi
e nascosti, in altre parole meno reverenziale e più critico,
ma questo non sminuisce il valore complessivo di quest’opera
che fa cultura. GB
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