Ecco un disco
finalmente intrigante e ce lo fornisce una band all’esordio,
gli olandesi Day Six. Che qualcosa in ambito Metal Prog stia cambiando?
Si, sono convinto che Steven Wilson abbia fatto colpo anche in questo
settore musicale. Basta ascoltare l’iniziale “Massive
Glacial Wall” per capire quanto i Porcupine Tree siano alla
base della conoscenza dei nostri. Una volta erano soprattutto i Dream
Theater il punto di riferimento del genere, ora le coordinate stanno
mutando e questo diciamo pure che vige nello stato naturale dell’evoluzione
del Rock in generale. Il quartetto in vita dal 2002, fornisce un disco
dalla ragguardevole durata di settantadue minuti. Le tracce ottimamente
incise sono nove e tutte di medio-lunga durata.
Ci saranno recensori che accosteranno la band ai Riverside, questo
è inevitabile, io a loro prediligo questi Day Six, perché
hanno nelle vene il DNA di una cultura musicale decisamente più
ampia. Aleggiano partiture Hard Rock modello anni ’70 nei grevi
riff di “Massive Glacial Wall”, esaltate dall’ottima
prestazione vocale e molto interpretativa del chitarrista vocalist
Robbie Van Stiphout. L’assolo di chitarra nel centro del brano,
farà la gioia di tutti coloro che respirano Pink Floyd dalla
mattina alla sera. Gilmour è in cattedra, quello di “Comfortubly
Numb” tanto per intenderci. Direte voi, a questo punto cosa
c’entra il Metal? Malgrado la dolcezza e la malinconia delle
melodie, le chitarre elettriche disegnano sempre strutture distorte.
Sottolineo anche il bell’intervento del sax dello special guest
Eric Berkers.
Come in tutte le band di Metal Prog, la ritmica è ottima, così
che Daan Liebregts (batteria) e Nick Verstappen (basso) si intendono
alla perfezione. Fondamentale l’apporto delle tastiere di Dolf
Van Heugten. “Castel Gandolfo” (chissà poi perché
questo titolo) sembra uscire da un disco dei connazionali Ayreon,
sicuramente un loro punto di riferimento, Lucassen docet. Altro brano
spettacolare è “Inside”, suite di quasi diciassette
minuti dove si incontrano numerose influenze, a testimonianza di quanto
dicevo in precedenza riguardo la cultura della band, tanto per dire
qui ci sono anche i Queensryche di Geoff Tate. Crescendo sonori e
cambi umorali sono il piatto forte di “The Grand Design”,
un labirinto nel quale è un piacere perdersi. Effetti speciali
ed elettronica a volte fanno da guarnizione ai pezzi, come nell’inizio
di “Fergus Falls”. C’è anche una ballata
toccante, “A Soul’s Documentary”, un frangente che
spezza l’ascolto e fa chiudere gli occhi per un viaggio fantasioso
fra le soavi note. Medesima sorte per la conclusiva “In The
End”, la quale potrebbe benissimo uscire da “Signify”
dei Porcupine Tree.
Questi quattro ragazzi hanno tutte le carte in regola per poter vivere
di musica, ora sta a loro trovare un binario preciso dove correre.
Noi li aspettiamo con piacere alla prova successiva, non dimentichiamo
che questo è comunque un esordio….e che esordio! Consigliato.
MS
|