| La coraggiosa Moonjune di Leonardo Pavkovic, come un abile prestigiatore, 
            estrae dal suo cappello magico un nuovo artista indonesiano, il tastierista 
            jazz Dwiki Dharmawan, che da diversi anni delizia le platee di molti 
            paesi con la sua arte, anche se temo non sia molto conosciuto. Questo 
            suo nuovo album, credo sia il nono della sua produzione, è 
            stato realizzato con alcuni musicisti fenomenali come Jimmy Haslip 
            (Yellow Jackets, Live Wiew, Jing Chi e molti altri) al basso, Chad 
            Wackerman (Zappa, Holdsworth, Vai e molti altri) alla batteria, Dewa 
            Budiana e Tohpati alla chitarra (anche loro recentemente sotto l’egida 
            della Moonjune) alla chitarra e ancora Jerry Goodman (Mahavishnu Orchestra) 
            al violino elettrico. Il disco è quasi interamente strumentale, 
            il genere è principalmente fusion, ma ci sono elementi anche 
            di prog e, ovviamente, tanto jazz, con grande spazio per assoli e 
            improvvisazioni.
 
 Ma questa parata di stelle non dice tutto, ovviamente è sempre 
            l’ascolto che serve per capire il reale valore di un disco. 
            L’avvio con “Arafura” è funambolico, entra 
            Chad con un breve virtuosismo, a seguire Haslip e Goodman e sono già 
            brividi. Si uniscono Dwiki e Dewa, l’intesa è assoluta 
            e la fusion proposta è altamente godibile. Dharmawan possiede 
            un talento straordinario e grazie agli intrecci con gli altri musicisti 
            si esalta in un caleidoscopio di note emozionanti. Sembra che tutti 
            traggano beneficio dalla collaborazione, la musica che ascoltiamo 
            è vitale, energica, densa di un entusiasmo contagioso e coinvolgente. 
            Il disco è stato registrato a Los Angeles in un paio di giorni 
            e questa immediatezza è uno dei caratteri fondanti del sound 
            ascoltato. “Bromo” è più riflessiva, ma 
            tecnica e feeling la rendono sempre molto coinvolgente. La title track 
            è molto rock, con un bell’incedere. Cambia l’atmosfera, 
            ma non il risultato, siamo sempre a livelli stellari. Così 
            è ad ogni traccia che segue, questi musicisti sanno come deliziarci 
            e non si risparmiano nemmeno per un secondo. Non credo serva aggiungere 
            molto altro, ho apprezzato questo album in ogni suo elemento e aspetto, 
            ci sono brani veramente entusiasmanti, come la progressiva “The 
            Dark of the Light”, ma è tutto riuscito davvero bene.
 
 Non deve essere facile avere il coraggio di avventurarsi fuori dai 
            soliti confini, molti amano stare al sicuro. Poi è vero anche 
            che ci sono così tanti bei dischi classiconi, che molti non 
            sentono il bisogno di cercare “oltre”. Eppure quante belle 
            emozioni si perdono tutti questi appassionati ingessati e stereotipati. 
            Non imitateli e non ve ne pentirete. GB
 
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            Batu
 
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