Tornano
i francesi Gae Bolg col loro sorprendente sound fatto di musica medievale
e marce militari, un mix di Sol Invictus e Death in June, ma con un
tocco tutto personale. Non a caso dietro il progetto si cela il trombettista
Eric Roger già con il gruppo di Wakeford. Il loro album precedente
era incentrato su un opera letteraria del 1225, questo invece è
un concept dedicato a tutte le persone che Eric ha perso, amici e
parenti.
L’incedere solenne e profondamente lugubre di “Introit”
apre il cd, la discesa verso l’Ade ha inizio nel modo più
suggestivo possibile. “Dies Irae” coi suoi cori dissonanti
ha un sapore fra il medioevale e il marziale, un brano oscuro e rituale
che esprime un dolore sordo difficile da esprimere in parole. Il flauto
di “Lacrymosa” riporta un po’ di serenità
nel nostro animo, ma è comunque una cantilena venata di una
rassegnata tristezza esistenziale. Inquietante “Improvisa Letivis…”
che ha un flavour sinistro a cui la tromba di Roger aggiunge un tocco
di esoterismo. “Choral I” ha un che di sacro che contrasta
coi brani precedenti, sembra un brano liturgico con tanto di organo
e coro. Ma la follia sonika ritorna con la stridente “March
Au Tombeau”, dura come il dolore senza risposta. Il canto del
pianto arriva davanti al sepolcro con “Choral II”. Ancora
solennità composta in “Hymne” dove torna la tromba
di Roger come un araldo addolorato che assiste impotente al compiersi
del destino. Molto toccante “Choral III”. Mentre “La
Flamme d’Eteint, une Vie Renait” sembra cantare la vita
che nasce dalla morte. “Di Me Tuentur…” è
molto neo classica, un’altra faccia della musica dei Gae Bolg.
“Totentanz” è una ballata dal sapore folkloristico,
ovviamente non è gioiosa, ma è mesta e solenne, con
un tocco di esoterismo nel cantato. “Agnus Dei” questo
titolo pone la domanda se Eric sia o meno religioso e la risposta
a sorpresa è che tutto il disco è pervaso di un certo
misticismo, la risposta allora potrebbe non essere così scontata
come si vorrebbe. Il finale di un’opera tanto incredibile è
affidata a “Pandemonium”, che non è una scorribanda
disordinata, come suggerisce il titolo, ma una marcia senza ritorno
verso un destino ignoto, quello che ci accomuna tutti.
Requiem è un album per stomaci forti, a volte è anche
stancante e bisogna essere predisposti e dell’umore giunsto
per ascoltarlo, perché è molto efficace nella rappresentazione
del dolore. Non c’è uno spiraglio di luce, non ci sono
risposte, ma soltanto un estetica fredda come la morte, un canto di
afflizione a cui vi dovete unire solo consapevolmente. GB
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