L’amicizia è una cosa grande, grandissima, ma può
essere anche un problema, perché si rischia di non essere obiettivi
con gli amici, questo rischio può essere superato solo se c’è
vera amicizia e stima. Sicuramente qualcuno sa che nutro una grande
stima per il cantante Jacopo Meille (Mantra, Tygers of Pan Tang),
di cui mi onoro di essere amico. Questo preambolo mi sembrava doveroso
per allontanare qualsiasi ombra sulla recensine che mi accingo a scrivere
e introdurre la sua ultima fatica discografica: i General Stratocuster,
nome tanto suggestivo quanto simpatico.
Al fianco di Jacopo troviamo Fabio Fabbri (noto session man) alle
chitarre, Richard Ursillo (Campo di Marte, Sensation Fix) al basso
e Nuto (Bandabardò), in altre parole un classico “supergruppo”
partorito dall’impulso creativo di Fabio in una delle tante
serate fra amici, con il desiderio di fare musica nostalgica, da qui
il nome della band, che ovviamente rimanda alla famigerata chitarra
Fender.
Il disco inizia col rumore della puntina che scende sul disco di vinile,
un’emozione che i giovani d’oggi forse non conoscono quasi
più, almeno quelli che non hanno in famiglia qualche genitore
che ancora conserva e ascolta i vecchi vinili, ma che a me, che comincio
ad essere un po’ “stagionato”, ha suscitato una
gran bella emozione. Il primo brano “Gifts and Gold” parte
con una batteria asciutta e un riff di chitarra assassino, ma come
parte la voce di Jack i brividi scorrono copiosi, Meille sembra cantare
con un’intensità che non ricordavo e mi ha riportato
con la mente al migliore Plant (non dimentico che Jack canta in un
tributo agli Zep, i Norge). Non male anche la successiva “Sweet
Candy”, che presenta delle sonorità tutt’altro
che prevedibili, la nostalgia stà solo nel come è impostato
il modo di approcciarsi al pezzo, in cerete sonorità, ma la
vena compositiva è fresca, un blues tutto da godere. “Highway”
è una ballata dal sapore vagamente psichedelico, che cresce
di intensità, allo stesso modo la più prevedibile e
romantica, ma piena di gusto e comunque molto rock, “Today and
Tomorrow”. “Last Stop Anywhere” sconfina nel prog,
mentre l’assolo di chitarra mi ha ricordato molto quelli di
Buck Dharma dei mitici BOC.
Il lato “B” si apre come quello precedente e strappa un
altro sorriso. “Little Miss Sunshine” è un’altra
ballata, che presenta un’altra interpretazione magistrale di
Meille, ma è bella anche la confezione sonora, che ha sicuramente
spinto il nostro singer a dare il meglio di sé. L’energia
torna a scorrere decisa con “All Because of You” e il
gruppo rocka che è un piacere, con un riff che mi ha ricordato
gli Who più travolgenti. “Flesh and Blood” è
ancora una prova di carattere, un pezzo costruito su un giro tanto
semplice quanto azzeccato. “Good Ol’ Time Blues”
non ha bisogno di grandi commenti, mantiene quello che promette, sa
di whiskey e stanze piene di fumo. Molto azzeccata la cover di “Fortunate
Son” degli indimenticabili CCR. Molto intimista il giro acustico
che apre la finale “Who’s to Blame”, una canzone
piena di nostalgia, che ci ridona la magia dei “lenti”.
Dopo una lunga pausa parte uno stacco molto divertente, che non vi
voglio anticipare e che introduce una canzone “segreta”.
Per me questo è un gran bel disco, di quelli che si fanno ascoltare
e riascoltare senza mai stancarci, mi fa davvero piacere recensirlo
e spero che questo progetto, nato un po’ per caso, possa regalarci
ancora altri momenti così emozionanti. Bravi! GB
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