Temo
che il nome di questa storica formazione americana sia sconosciuto
al grande pubblico, ma si tratta di una delle formazioni migliori
del prog americano, se non forse della migliore, di sicuro quella
più vicina allo stile europeo, per la ricerca di un sound elaborato
e tormentato senza nessuna concessione ai virtuosismi autocelebrativi
e all’easy listening.
Personalmente considero un grande onore avere l’occasione di
fare questa recensione. La formazione originale aveva pubblicato due
album eccezionali: il primo omonimo nel ’77 e Crafty Hands l’anno
successivo, poi era sparita schiacciata impietosamente dal mutare
della corrente, ne esistono comunque varie ristampe di cui vi consiglio
quella della Musea per l’abbondante dose di informazioni incluse
nei booklet. In seguito sono stati dati alle stampe due interessanti
cd con materiale inedito e un live postumo.
Ci sono stati vari tentativi di reunion, anche negli anni novanta,
ma abbiamo dovuto aspettare il nuovo millennio per poter finalmente
ritrovare questa gloriosa band in formazione per tre quinti originale.
Sono rimasti al loro posto il chitarrista Stanley Whitaker, il saxofonista
e tastierista Frank Wyatt e il bassista Rick Kennel, mentre al posto
del formidabile tastierista Kit Watkins, che non è rientrato
perché non voleva fare date dal vivo, troviamo David Rosenthal
(Rainbow), infine alla batteria siede Joe Bergamini. Il sound sofisticato
spazia dal prog classico ricco di cambi, tempi dispari e controtempi
come nella brillante opener “Contemporary Insanity”, al
jazz sperimentale in pieno Canterbury style come in “Lunch at
the Psychedelicatessen” (che titolo azzeccato!).
Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stato di trovarmi
di fronte ad un album interamente strumentale, sì perché
nei primi due episodi Stanley e Frank cantavano, mentre qui neanche
un accenno. Questo, che potrebbe sembrare un particolare di poco conto,
secondo me pesa invece come un macigno, musicalmente The Muse Awakens
è un capolavoro al pari dei suoi predecessori, ma alla lunga
l’assenza del cantato rende poco fruibile il disco, si sente
che manca qualcosa e sopraggiunge un po’ noia.
Comunque siamo di fronte ad un disco da non perdere per nessun motivo.
GB
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