In
questa recensione vi presentiamo il quarto e il quinto album solo
di questo virtuoso della chitarra. Michael Harris è un axeman
eccezionale, già membro di Surgeon, Arch Rival e Zanister,
nei suoi dischi solisti ha infuso il meglio di se producendo dei lavori
molto vari e interessanti.
Il suo stile eclettico spazia dal metal più tradizionale al
jazz più avventuroso, ma quello che sorprende, anche se non
dovrebbe essere così, è che con moltà abilità
propone una gamma di suoni molto diversi tra loro. In effetti molti
chitarristi di oggi sono tecnicamente mostruosi, ma spesso hanno sempre
lo stesso suono di chitarra, Harris assolutamente no. Potete trovare
arpeggi di chitarra acustica che si alternano ad un tapping indiavolato,
sfuriate metalliche dal classico al progressivo, jazz rock ai limiti
di una fusion metallica e trascinante, un giro acustico in Do maggiore
assolutamente godibile, Nu Metal funkeggiante, solos che ricordano
il nervosismo acido di Vernon Reid, partiture neoclassiche a base
di Mozart e Vivaldi e non può mancare nemmeno qualche pennellata
di caldo e avvolgente blues, ce ne da farsi venire il mal di testa
(in senso buono).
Le sue musiche toccano varie corde dell'animo, da quelle più
oscure ad altre solari, mantenendo sempre alto il tasso di divertimento
anche grazie all'aiuto di musicisti veramente molto ispirati. L'album
Sketches è un po' più avventuroso, fra il prog e il
dark, mentre Distorted è più dimostrativo, ma l'energia
straripante di questo biondo axeman è sempre contagiosa e travolgente
e non mancherà di soddisfare anche i palati più difficili.
Certo che, per loro natura, questi sono dischi più per gli
amanti della sei corde che non per gli altri, ma quando il livello
è così alto non bisogna temere di avvicinarsi. GB
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