Nel 2001 Holdsworth pubblica il suo undicesimo album, un disco dove
praticamente fa tutto da solo, è il primo dove tenta questa
via, unica eccezione la presenza del bassista Dave Carpenter in un
paio di brani. Holdsworth è uno dei più grandi chitarristi
viventi. Da quando ha scelto la strada della sperimentazione pura,
si è allontanato dai grandi circuiti ed ha intrapreso percorsi
scomodi e questo disco ne è l’esempio migliore e più
esaustivo. La Moonjune ha ristampato il disco rimasterizzandolo e
migliorandone il suono.
Siamo di fronte a nove composizioni, solo nella prima Allan suona
la chitarra, per il resto usa il sintetizzatore Sinthaxe, tra l’altro
ne fa un uso poco convenzionale, insomma sembra sperimentare nella
sperimentazione. Nella breve “The Duplicate Man (intro)”
il nostro ci presenta dei virtuosismi di chitarra molto free jazz,
proposti su una base umoristica abbastanza caotica, segue il brano
vero e proprio dallo stesso titolo, scompare la chitarra (e anche
i rumori di fondo) e Allan si muove in totale libertà, non
c’è una trama melodica riconoscibile, sembra musica umorale,
dove si possono riconoscere più temi, ma soprattutto troviamo
la sensibilità musicali di questo sperimentatore puro. “Eeny
Meeny” è la prima delle due tracce col basso, che tra
l’altro è appena udibile, Holdsworth si lancia in un
assolo assoluto, sempre molto free, non c’è un solo momento
che abbia l’apparenza di musica da film, musica tutt’altro
che rilassante o teatrale, piuttosto impegna l’ascoltatore in
un puzzle sonoro per menti molto allenate. “Please Hold On”
è più rilassata, quasi d’atmosfera, ma il nostro
non perde il gusto per le soluzioni complesse. “Snow Moon”
prosegue con le impennate creative del nostro, che si cimenta sempre
più anche nelle parti ritmiche, simulando diversi strumenti
percussivi, che vengono poi ripresi ancora più in specifico
nella seguente “Curves”. “So Long” è
il brano più atmosferico e pacato, mentre “Bo Beep”,
il secondo col basso, questa volta più presente, è il
primo che unisce una certa linea melodica al gusto sperimentale. Chiude
la lunga maratona di “Don’t You Know”, meno ostica
dei precedenti, ma comunque sempre impegnativa.
Holdsworth è un musicista che non si è mai voluto sedere
sugli allori, scomodo, geniale, innovativo, insomma un vero artista,
per questo non facile, non banale, non scontato, in altre parole per
palati molto esigenti. GB
Altre recensioni: Hard Hat Area; Blues
For Tony; None Too Soon
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