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            I Jupiter Society sono il progetto di epic prog metal di Carl Westholm, 
            un musicista complesso ed eclettico, che abbiamo già incontrato 
            in formazioni molto suggestive come i Carptree nel prog, i Krux e 
            i Candlemass nel doom, con questo progetto il nostro sembra voler 
            percorrere a modo suo la strada tracciata da altri musicisti come 
            Arjen Lucassen o Erik Norlander, al suo fianco infatti troviamo una 
            intrigante serie di collaborazioni, molte delle quali arrivano dai 
            gruppi di cui Carl ha fatto parte, ma ci sono anche Marcus Jidell 
            dei Royal Hunt, Lars Skold dei Tiamat, Christer Jannson dei Roxette 
            (e molti altre collaborazioni), Mats Leven dei Krux (ma anche ex Therion 
            e Malmsteen), Leif Edling (Candlemass e Krux) e altri ancora.
 
 Questo secondo album segue le orme del debutto che ci aveva già 
            fatto un’ottima impressione, l’incipit di “New Univverse” 
            è solenne e spettrale al tempo stesso, un riff inquietante 
            apre a progressioni dense di tensione, il cantato ricorda vagamente 
            i Carmina Burana musicati da Carl Orff, poi il tutto si standardizza 
            un po’, anche se siamo su buoni livelli. “Rescue and Resurrection” 
            conserva l’alone di mistero con un inizio molto atmosferico, 
            quasi space rock, del resto tutta la grafica che accompagna il progetto 
            è molto “space” ed è anche molto curata 
            e ben realizzata. Poi un altro elemento che si ripete è la 
            solennità, quasi pomp, un incedere epico di elevato spessore 
            teatrale. I brani sono lunghi e molto articolati, per cui è 
            difficile raccontare tutto, comunque si tratta sempre di musica molto 
            immaginifica. Così come alto è il lirismo di “Into 
            the Dark”, musica altamente emozionale. Non c’è 
            un attimo di cedimento, forse la pecca maggiore è di essere 
            un disco molto coeso, che mantiene l’ascoltatore in tensione 
            dall’inizio alla fine e le atmosfere non cambiano molto, c’è 
            sempre questa solennità carica di mistero che pervade tutto 
            l’album, ma non mi sembra un difetto tanto grave.
 
 Questo è il prog metal che mi piace di più, pochi tecnicismi 
            e tanta emozione, con un disco che è bello dall’inizio 
            alla fine, che piacerà molto ai fans degli Ayreon e di tutta 
            la musica che fa sognare. GB
 
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