Per il decimo studio album, i symphonic metallers Kamelot hanno dovuto 
            affrontare il secondo cambio di vocalist della loro storia a causa 
            della fuoriuscita del carismatico Roy Khan il cui posto è stato 
            affidato dallo scorso giugno allo svedese Tommy Karevik (Seventh Wonder), 
            sostituzione che, come sempre, creerà discussioni e fazioni 
            all'interno dei fans della band, ma alla fine non mi sento di dover 
            imputare alcuna colpa ad alcuno in quanto le composizioni scorrono 
            nella loro sinfonica epicità metallosa e sebbene Karevik abbia 
            con Khan maggiori affinità di quante ne avesse l'altro candidato 
            al microfono Fabio Lione (Rhapsody Of Fire, Vision Divine), la scelta 
            finale non apporta detrimento alla nuova proposta discografica. E 
            togliamoci pure il discorso delle esecuzioni in quanto siamo dinanzi 
            a signori musicisti che conoscono bene i propri strumenti e li sanno 
            usare con grande abilità e tecnica. 
             
            Passando all'analisi delle composizioni, mi sento di affermare che 
            il nuovo album racchiude in sè gli elementi caratterizzanti 
            di "Karma" e "Ghost Opera", con un pizzico di 
            goticità ereditato da "Poetry For The Poisoned", 
            e se è vero che Tommy copia lo stile di Khan nelle note più 
            basse e in certe sue espressioni, è anche vero che rispetto 
            all'illustre predecessore norvegese riesce ad estendere la propria 
            voce su ottave più acute. 
             
            Due minuti di intro ("Manus Dei") ed ecco esplodere l'uptempo 
            "Sacrimony (Angel Of Afterlife)" (il video ufficiale lo 
            potete vedere su youtube al seguente indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=ORAc_hx33-Q) 
            che ospita interventi femminili di Elize Ryd (Amaranthe) e Alyssa 
            White-Gluz (The Agonist), per un risultato probabilmente non eccezionale, 
            ma che raggiunge lo scopo di lasciare una traccia nella memoria dell'ascoltatore. 
            Personalmente ho maggiormente apprezzato l'urgenza sinfonico/melodica 
            di "Torn", le malinconiche power-ballads "Song For 
            Jolee" e "Prodigal Son" superbamente interpretate da 
            Karevik, l'orchestrale arrangiamento di "Veritas" arricchito 
            dal Silverthorn Choir fra cui spiccano Amanda Somerville, Elize Ryd, 
            Thomas Rettke e Simon Oberender. 
             
            Sicuramente qualcuno resterà deluso dal poco coraggio dimostrato 
            dai Kamelot nell'aver perseguito lungo le stesse, rodate coordinate 
            musicali che avevano con Roy Khan, ma diamo tempo alla band di trovare 
            il giusto affiatamento col nuovo arrivato e, come spesso accaduto 
            in passato, ciò si trasformerà in un rinnovato slancio 
            verso sempre più personali e qualitativamente elevate vette 
            artistiche. Intanto io non li crocifiggo e me li godo. ABe 
             
            Altre recensioni: One Cold Winter's Night; 
             Ghost 
            Opera, the Second Coming 
             
            Sito Web
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