Musicalmente, sono cresciuto negli anni ’80 e per me è
inevitabile avere confidenza con certe sonorità. Siccome poi
non sono mai stato amante del mainstream, sono sempre andato a cercare
le cose nascoste, le proposte indipendenti, underground, fuori dagli
schemi. Così ascoltavo di tutto, dalla dark wave al metal,
dal garage rock alla nuova psichedelia, cercando sempre di riscoprire
quanto venuto prima. I Monjoie credo abbiano fatto un percorso simile
al mio e questo me li ha fatti amare fin dal primo ascolto. Perché
ho riconosciuto nella loro musica le sonorità che avevo incarnato
in tanti anni di ascolti.
Questo nuovo album è una raccolta di cover che chiarisce ogni
mia intuizione, troviamo infatti brani di Joy Division, Killing Joke,
Dead Can Dance, Tears For Fear vicino ad altri di Velvet Underground,
The Doors, ELP, Brian Eno e altri. Nessun brano “famoso”,
ma intense interpretazioni di classici degli artisti citati in un
contesto coerente, la band col suo stile personale molto romantico
reinterpreta con grande gusto delle musiche diventate immortali. La
voce di Alessandro mi ricorda un po’ quella di Julian Cope ed
è carica di echi, la band presenta anche una strumentazione
acustica ricca, troviamo strumenti come le cornamuse, il bouzouki,
la gironda e molte percussioni il che rende il suono molto profondo,
con arrangiamenti personali e intriganti.
Un ideale viaggio musicale che denota cultura e ricerca, con artisti
capaci di affrontare i classici in modo creativo. Davvero un bel disco.
GB
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