Ottavo lavoro in studio per i belgi Quantum Fantay, terzo con la Progressive
Promotion Records. Il sodalizio prosegue anche perché la band
capitanata da Pete Mush (tastiere) ha un crescendo qualitativo di
buona fattura. L’esperienza aumenta e si trovano equilibri che
solo il tempo ti può insegnare, ecco quindi un piccolo passo
a ritroso verso certe sonorità anni ’70 ed il ritorno
a tempo pieno del flauto, qui suonato da Jorinde, il tutto equilibrato
dall’aggiunta del sax di Nette Willox e del sano Space Rock.
Quando si dice Space Rock, non si può fare a meno di chiudere
gli occhi e lasciarsi trasportare in un viaggio onirico, spesso adagiato
su tappeti sonori martellanti ed altri fluttuanti.
Oltre ai nominati la band annovera nella line up, Jaro al basso, Gino
Bartolini alla batteria e percussioni e Tom Tas alla chitarra. Il
disco è composto da cinque brani tutti strumentali.
Sempre debitori al sound moderno degli inglesi Ozric Tentacles, i
Quantum Fantay si addentrano in viaggi che stupiscono per amalgama,
fra ritmiche Reggae, elettronica e il flauto con il sax che donano
al tutto i colori del vintage. Tutto questo lo si percepisce sin dall’iniziale
“Tessellate”, fraseggio emotivo da ciondolare fisicamente
ad occhi chiusi per tutti i dieci minuti.
Il ritmo sale nella successiva “Manas Kavya” e molto del
suo groove risiede nelle mani di Tom Tas, buoni assolo compreso anche
quello del flauto. Ampie schiarite mentali nell’ascolto, suono
spazioso e liberatorio. Colori, tanti colori.
“Astral Projection” è un brano inizialmente di
classe e riflessivo, per poi andare in crescendo, dove ancora una
volta il flauto coglie nel segno. Il meglio dell’intero disco
a mio gusto personale risiede in “Skytopia”, canzone suddivisa
in quattro tracce, “Azure”, Laputa”, Ignis Fatuus”
e “Empyrean”, un calderone ricco di suoni, idee che si
danno staffetta fra buone melodie, cambi di ritmo, percussioni e tutto
quello che sappiamo già del sound Quantum Fantay.
Il disco si conclude con la breve “Anahata”, lieve andamento
che si riallaccia al sogno, di quando si pensa di correre, ma che
in realtà le gambe non riescono ad andare veloci. Ma ancora
una volta tutto si scioglie e così l’andamento riprende
vita nel suo classico crescendo.
Con i Quantum Fantay lo Space Rock si approccia al Prog e ne scaturisce
un suono che ne appaga il corpo e la mente. Ineccepibile. MS
Altre recensioni: Terragaia; Dancing
in Limbo
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