Rock Impressions

Steve Rothery - The Ghosts of Pripyat

STEVE ROTHERY -The Ghosts of Propyat
Inside Out
Distribuzione italiana: Spin Go!
Genere: Prog
Support: CD
- 2015


Immagino che mediamente i nostri lettori sappiano che Steve Rothery è lo storico chitarrista dei Marillion, per cui non vorrei dilungarmi nelle solite note biografiche, piuttosto vorrei ricordare che la band inglese è stata tra le prime ad utilizzare la raccolta fondi per finanziare i propri progetti musicali, tour compresi e che il successo è stato tale che hanno sempre raccolto più soldi del necessario. Steve ha voluto percorrere la stessa strada per la realizzazione di questo suo disco solista e ancora una volta, questa rivoluzione di internet gli ha dato ragione. Ma non solo, oltre al calore dei fans Steve ha raccolto anche il consenso di due pezzi grossi del prog, Steve Hackett e Steven Wilson, che hanno prestato il loro prezioso contributo all’amico.

L’idea sottostante il disco in questione covava da oltre vent’anni, ma Rothery ha aspettato davvero a lungo per darle forma e portare alla luce l’album. La svolta è stata l’incontro col chitarrista Dave Foster e in seguito è stato determinante anche la sezione ritmica composta da Yatim Halimi al basso e Leon Parr alla batteria, completa la band il tastierista Riccardo Romano.

The Ghosts of Pripyat si compone di sette brani tutti strumentali. Il primo è la sognante “Morpheus”, un brano liquido che mostra subito l’abilità chitarristica del nostro. Echi Pinkfloydiani si cesellano su un tessuto rock, che prende vita in un crescendo molto ben congegnato e suonato ancora meglio, qui troviamo il primo contributo di Hackett. “Kendris” all’inizio ha dei profumi orientali, anche se la costruzione è molto prog rock, poi pian piano tutto assume un aura solare, piena di vita, ottimo brano. “The Old Man of the Sea” è il brano più lungo e complesso, torna Hackett, ma troviamo anche Wilson, momenti di puro lirismo si alternano a crescendo semplicemente perfetti. “White Pass” è pure di una bellezza cristallina, anche se la prima parte soffre un po’ il confronto coi brani precedenti, però il finale si riscatta. “Yesterday’s End”continua il discorso esplorando diversi campi, raggiungendo in alcuni momenti delle dinamiche molto aggressive. “Summer’s End” offre uno dei migliori crescendo del disco, con un chitarrismo fenomenale. Chiude la title track che fa un po’ da sunto a tutto il disco, l’ultima pennellata di un chitarrista sopra le righe, che accarezza e graffia al tempo stesso.

Rothery è un signor musicista, mentre alcuni si interrogavano sulla validità di quanto partorito dai “suoi” Marillion, lui è andato avanti per la sua strada con coerenza e profetica visione. GB

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