Il secondo album arriva ad un solo anno di distanza dal primo, al 
            trio si è aggiunto Joey Dambra alla chitarra e all’hammond. 
            Fin dalle prime note il sound sembra meno oscuro ed epico, anche un 
            po’ ruvido. Non siamo più sotto la guida di Kramer e 
            il gruppo si è spostato agli Mercury Sound Studios con Bob 
            Fava come ingeniere del suono. La resa dell’album non è 
            così dirompente come nel primo, ma il disco contiene ugualmente 
            dei pezzi indimenticabili. 
             
            “Chicago Lives” è un bel pezzo, con molte variazioni 
            in meno di quattro minuti, compresa una sezione vagamente jazzata 
            con un solo di chitarra memorabile, ma temete, l’hard rock dei 
            SLB è sempre molto deciso. Anche la seguente “Loe and 
            Behold” mostra un gruppo meno oscuro, anche se recupera un po’ 
            in epicità. Finalmente con “Woman Tamer” si torna 
            alle apocalittiche tinte fosche del debutto, un brano da brividi, 
            che ricorda tantissimo i riffs ossianici e saturi dei maestri Black 
            Sabbath, ma questa piece non è certo da meno rispetto a quelle 
            partorite dal quartetto di Birmingham. Ma ecco che arriva il vero 
            capolavoro del gruppo: “Caesar LXXI”, uno dei brani più 
            epici e visionari partoriti dal genere, che sicuramente ha influenzato 
            tutto il metal epico con i Manowar in testa, un gioiello di heavy 
            metal ante litteram (ricordo che siamo solo nel ’71!), che da 
            solo vale l’acquisto di questo comunque ottimo disco. “Man 
            From Manhattan” ci presenta il lato più progressive del 
            gruppo, il brano è piuttosto lungo e supera i dieci minuti, 
            ci sono visioni oniriche ai limiti della psichedelia, cori epici e 
            crescendo, poi torna il sound sulfureo e crepuscolare verso il finale 
            del pezzo, infine la conclusione poetica suggella un altro pezzo fantastico. 
            Il finale dell’album è affidato a “Where Are We 
            Going”, registrata dal vivo col contributo aggiuntivo di un 
            sax, molto vicina al repertorio dei Free, purtroppo il titolo è 
            stato un po’ funesto per la band, ma questo destino è 
            stato riservato a molti grandi nomi, ingiustamente chiamati “minori”. 
             
            Un altro classico da riscoprire e da amare senza riserve, uno di quei 
            dischi che rendono assolutamente inimitabili e indimenticabili gli 
            anni ’70. GB 
             
            Altre recensioni: Kingdom Come; 
            III Raw 
             
            Sito Web 
            Per un assaggio: http://www.myspace.com/sirlordbaltimorewebsite 
           |