Può sembrare nostalgia la mia, ma quando mi trovo tra le mani
un lavoro di una band storica, magari una di quelle che non ha avuto
fortuna come questi Stray, provo sempre una certa emozione. Questo
disco ve lo avevamo recentemente annunciato ed eccolo finalmente entrare
nel nostro lettore. La band oggi vede il veterano Del Bromham accompagnato
da Stuart Uren al basso e Karl Randall alla batteria, mentre il disco
è prodotto dalla mano sicura di un altro nome di spicco della
scena inglese, Chris Tsangarides (che ha lavorato con nomi del calibro
di Thin Lizzy, Bruce Dickinson, Judas Priest, Ian Gillan, Depeche
Mode, Gary Moore, Japan, Tom Jones, Tygers of Pan Tang, tanto per
citare i primi che mi vengono in mente).
Il disco si apre con un giretto ammiccante, che si trasforma presto
in un hard rock essenziale e diretto, “Move a Mountain”
è una track in cerca di consensi, costruita con molta classe
e speranza nel futuro, ma che graffia poco. Le vere emozioni arrivano
con la seguente “Dirt Finger”, un brano con le palle,
che sprigiona una massiccia dose di energia, grande riff di chitarra,
questo è l’hard rock che volevo sentire da questi vecchi
leoni e non mi hanno deluso. “1600 Pennsylvania Avenue”
è una bella ballad dal sapore epico, energica e ricca di gusto.
L’hard rock che spinge ritorna subito con “Free at Last”,
non sembra nemmeno il gruppo di prima, c’è tanta voglia
di suonare nelle vene di questi musicisti, che nonostante gli anni
non hanno perso un grammo di smalto. “Harry Farr” è
una bella cavalcata, niente di trascendentale, ma è un bel
brano con una buona costruzione armonica. “Skin” è
un brano trascurabile, quasi un filler. Con “Double Six”
l’hard degli Stray si tinge di blues, un vecchio amore mai sopito.
Buona “Ghostwriter” ad emergere è ancora la classe,
anche se non è una canzone che lascia un segno profondo. “Sing
(the Song)” è una canzone cadenzata molto settantiana
nella concezione, oggi suona molto vintage, ma è credibile.
“Rainy Day Blues” aggiunge una tinta funky che non guasta.
Molto bella anche “24/7”, che ha un bel tiro, quasi punk.
Chiude la ballata elettrica “You”, ancora un brano carico
di suggestioni.
Gli Stray sono una grande band, che non si vuole rassegnare al tempo
che passa, di certo si rivolgono ad un pubblico che ama determinate
sonorità, è musica retrò quindi, ma alemno è
suonata col cuore e senza l’illusione di voler fare dei soldi,
ce ne fossero di artisti così. GB
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