Il primo full lenght dei norvegesi Arabs In Aspic segue di un anno
il debutto, le coordinate non sono cambiate ma si sente che è
un disco più maturo e coeso, i brani sono solo sei, mediamente
lunghi con una suite finale.
Si parte in quinta con la vorticosa “Arabs in Aspic II”,
il cantato in lingua aggiunge un tocco esotico, ma sono le parti strumentali
che coinvolgono in un turbine di emozioni, tra hard rock, visioni
lisergiche e atmosfere sulfuree di forte impatto. La successiva “Hair
of the Sun” è più psichedelica, un brano onirico
che, a dispetto del nome, presenta movenze darkeggianti con un incedere
onirico ed è ancora grande suggestione. “Siseneg”
si pone a metà strada tra i due brani precedenti e presenta
un crescendo molto ispirato. “Talking Mushroom” sembra
uscita direttamente dai seventies, un proto metal con tocchi di space
rock, tra Hawkwind e Black Sabbath, immensa. Molto space rock “Come
to Me”, che impone una cadenza personale ad un genere musicale
da sempre fascinoso. “Butterpriest Jam” è come
promette il titolo, una lunga e strana improvvisazione, molto libera
da schemi, ma anche molto intrigante e lisergica.
Se col primo album il gruppo aveva stuzzicato curiosità e fantasie,
col secondo ha confermato tutte le buone intuizioni del primo. Per
qualcuno è “retro” rock, per me è arte.
GB
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