| The WHO, DAI DIARI DI 
            CARLO BASILEMemorie e racconti di Carlo Basile raccolti da Giancarlo 
            Bolther
 
 Breve biografia di Carlo Basile
 Carlo Basile, romano di nascita, dal 1968 è stato Editorial 
            Director dell’epico primo settimanale di musica e fumetti “Off-Side” 
            e ha collaborato a molte riviste musicali (Titan Avant Garde, Nuovosound, 
            Ciao 2001, Supersound, Audiovision e altre). Dal 1969 è entrato 
            nella EMI Italiana come “promotion manager”. Dal 1970 
            al ’72 ha collaborato al programma radiofonico “Per Voi 
            Giovani” di Paolo Giaccio e Mario Luzzato Fegiz. Dal 1972 è 
            entrato nella RCA Italiana (diventata poi RCA/BMG), come responsabile 
            di tutto il repertorio internazionale, sia per le produzioni italiane 
            (BMG/Arista) che per le distribuzioni (Chrysalis, Stiff Rec., Sire, 
            Chiswick, Motown, etc.). Dal 1989 ha guidato la divisione italiana 
            della BMG music video. Dal 1995 al ’99 ha guidato il reparto 
            distribuzioni straniere della BMG Italia. Grazie al suo intuito musicale 
            dobbiamo il successo in Italia di gruppi come i Deep Purple, Pink 
            Floyd, Grand Funk Railroad, The Nice, i quattro ex Beatles solisti, 
            Patti Smith, Eurythmics, Jefferson Airplane, The Who, David Bowie, 
            Lou Reed, The Sweet, The Ramones, Jethro Tull, Talking Heads, The 
            Damned, Blondie, Pretenders, Spandau Ballet, Billy Idol, Madonna, 
            Hall and Oates, Lene Lovich, Ian Dury & The Blockheads, Pat Benatar, 
            Huey Lewis & The News, Bruce Hornsby, Whitney Houston, Alan Sorrenti, 
            Guccini, Elio e le storie Tese, Pitura Fresca, Prozak +, Latte e i 
            suoi Derivati, Bisca, Alma Megretta e molti, molti altri…
 Questo è il primo articolo/intervista che ci ha concesso per 
            raccontarci ricordi e aneddoti della sua lunga avventura musicale, 
            per noi è un vero onore ospitare nelle pagine di Rock Impressions 
            un personaggio del suo calibro con la speranza di poter attingere 
            sempre più ai suoi incredibili ricordi. Buona lettura.
 
 L'intervista
 
 Ciao Carlo, per questa prima intervista volevo partire dagli 
            Who, visto che presto torneranno a suonare nel nostro paese...qual 
            è stata la prima volta che li hai incontrati?
 La prima volta che li ho incontrati è stato subito 
            molto bello, il concerto era al Piper Club, loro dovevano suonare 
            al Palasport, senonché c’era stata una gran confusione, 
            proprio un gran casino, l’organizzatore era scappato coi soldi. 
            Siccome non c’era molta gente, sai a quei tempi gli Who non 
            erano poi così conosciuti, allora avevano pensato di fare il 
            concerto al Piper. Verso le nove, mi sono presentato al Piper e sono 
            andato subito nei camerini per parlare con loro e soprattutto per 
            prendere gli autografi… arrivo quasi di corsa e sulla porta 
            in cima alle scale quasi mi scontro con un tipetto alto e ben vestito, 
            con la giacchetta blu e il papillon, che stava appunto appoggiato 
            a quella porta... lo guardo bene ed era proprio Peter Townshend, così 
            mi sono presentato e siamo andati nei camerini a conoscere gli altri 
            e questo è stato il mio primo incontro con gli Who.
 Il concerto al Piper è stato da paura e anche molto pericoloso, 
            perché, come ben sai, Keith Moon, alla fine del concerto amava 
            smantellare la batteria a modo suo, a un certo punto prese un piatto 
            e lo tirò sul pubblico a mo di frisbee: non puoi capire il 
            panico, tutti si sono buttati per terra per evitare di essere decapitati!! 
            Sai a quei tempi erano cose che potevano succedere, it’s only 
            rock ‘n’ roll! Quindi è stata una serata molto 
            movimentata, però è stato un concerto bellissimo.
 La seconda volta che ho visto il gruppo è stata sempre a Roma, 
            ma erano già un po’ più importanti, e stavolta 
            erano al Palaeur, alla fine del concerto c’erano dei fischi 
            e botti ed un sacco di razzi colorati che andavano in alto, in Italia 
            una cosa così non si era mai vista in un concerto rock, così 
            un pompiere particolarmente solerte saltò sul palco e si mise 
            a spegnere questi fuochi, ti puoi immaginare il putiferio, Pete Townshend 
            si incazzò come una iena, prese la chitarra per il manico e 
            diede una chitarrata in piena faccia al povero pompiere, non so come 
            sia andata poi a finire, di certo quel pompiere quella sera perse 
            un bel po' di denti, ma lo spettacolo è stato memorabile, purtroppo 
            solo in Italia capitano queste cose.
 Gli Who a quel tempo erano distribuiti dalla Polydor per tutta l’Europa, 
            ma in italia non erano mai stati lavorati decentemente; la loro etichetta 
            originale comunque era la storica Track Records, andai io in Inghilterra 
            dal loro manager, Bill Curbishley, per metterli sotto contratto: gli 
            dissi, li voglio io per l'Italia, e così fu, era un contratto 
            di 20.000 dollari all'anno e il primo disco che pubblicammo fu Quadrophenia. 
            Ti ricordi com’era il disco? Dentro c’era un vero e proprio 
            libro di 30-40 pagine, quando il loro manager arrivò a Roma 
            con una vagonata di negativi per stampare il libro mi venne un colpo 
            e pensai che poteva essere la mia fine in RCA, poichè invece 
            il disco era una bellissima rock opera, secondo me leggermente inferiore 
            a Tommy che era e rimane veramente un capolavoro... (e infatti suonano 
            ancora molti pezzi dal vivo di quel disco, mentre di Quadrophenia 
            ne suonano molto pochi)... ne vendemmo un sbandello, più di 
            80.000 pezzi, che poi erano pari a 160 mila perché era un disco 
            doppio, che nel nostro paese tutto sommato per l'epoca erano tante 
            per un gruppo rock inglese.
 Townshend poi aveva già fatto, proprio all'inizio, una mini 
            rock opera “A Quick One”, ma questa è una cosa 
            che ho scoperto molto dopo: capii il significato quando in un concerto 
            registrato anni dopo, Peter spiegò il significato del titolo, 
            “A Quick One” è la cosiddetta “sveltina”, 
            è la storia di uno che corteggia una poveretta e Keith Moon 
            durante il concerto faceva la parte del cattivo. Io non avevo mai 
            fatto questo tipo di riflessione fino ad allora, questo per dirti 
            come a noi le informazioni arrivavano in ritardo. Da noi arrivava 
            il disco e basta, quando comprai “A Quick One” mi chiesi 
            cosa voleva dire il titolo, ma mai avrei pensato una cosa del genere. 
            Il pezzo dura dodici minuti ed era uno dei primi esperimenti di opera 
            rock di Pete, sbocciati poi in Tommy.
 Tornando a Quadrophenia, quando presentarono la rock opera di Quadrophenia 
            al Lyceum di Londra, mi pare, mi invitarono ad andare ad assistere 
            alla prima. Mi fecero entrare nel backstage e mi ricordo lo sguardo 
            da pazzo di Keith Moon, che aveva un dente ricoperto con una capsula 
            di metallo, mi colpì molto il suo sguardo folle, già 
            non era un tipo molto rassicurante di suo, sai lui è quello 
            che è entrato in piscina con la Rolls e poi ne ha fatte di 
            tutti i colori, ha gettato della roba dalle finestre di un paio di 
            alberghi, ha fatto vedere il culo sulla inner sleeve del suo unico 
            solo album… Poi mi portarono in una stanza dove c’era 
            Peter Townshend per fargli la presentazione ufficiale dell’uscita 
            del disco in Italia. In quel momento Peter stava accordando la chitarra, 
            tirava ad una ad una le corde con il dito medio nudo, fino allo spasimo, 
            poi girava la chiavetta e la intonava con un diapason che in questo 
            momento sta davanti agli occhi miei a casa mia, perché finita 
            l'operazione, me lo regalò. Ma la cosa che mi colpì 
            è che tirava la corda a dito nudo, senza guanti, la tirava 
            almeno di quindici centimetri, roba da tagliarsi il dito! Allora gli 
            chiesi: “Ma perché fai così?” e lui mi rispose: 
            “Siccome le corde si rompono spesso e continuamente, poi sul 
            palco non riesco più a suonare bene... (sai lui tirava certe 
            strofinate quando faceva la famosa ruota), così preferisco 
            tirarle bene prima, se resistono bene, se no si cambiano, meglio adesso 
            che dopo sul palco…” insomma faceva la prova prima, in 
            fondo il sistema non era sbagliato, solo che lo faceva a dito nudo. 
            Incredibile!
 La terza volta che mi sono incontrato con gli Who è stato al 
            Frejus, feci il viaggio a spese mie, però il loro manager ci 
            fece entrare gratis al concerto perché lavoravo per gli Who 
            in Italia. Al Frejus c’è un piccolo colosseo, bellissimo, 
            che risale al tempo degli antichi romani e gli Who scelsero quel posto 
            per suonare dal vivo ed iniziare la tournee francese: per la prima 
            volta, almeno che io sappia, usarono le luci laser verdi che con un 
            sistema di specchi si rifletteva in tutte le direzioni. Io, un po’ 
            perché mi ero fatto una cannetta, un pò perchè 
            quello spettacolo di suoni e luci era una vera meraviglia, insomma 
            tutto era così perfetto, lo vuoi sapere? Mi sono veramente 
            commosso e mi sono usciti i lacrimoni, me lo ricordo ancora come se 
            fosse ieri. In questo anfiteatro romano, una musica fantastica, le 
            luci spettacolari, la gente in delirio… ebbene si, mi sono commosso! 
            Fu un vero trionfo. Finito il concerto, mi portarono nel backstage 
            e per la verità siccome ero ancora scosso ed un po’ imbambolato 
            perché in realtà non ero abituato a fumare, sono stato 
            li inebetito come un imbecille, non mi ricordo nemmeno cosa ho detto 
            o cosa non ho detto a Townshend, devo aver fatto dei discorsi del 
            cavolo ed una figura di merda… va beh!
 Ho avuto almeno altre due occasioni di vedere gli Who dal vivo e poi, 
            andando in pensione, ho perso un po’ i contatti, ma con loro 
            ho sempre avuto un rapporto particolare, stranamente con loro non 
            ho neanche una foto, mentre ne ho tantissime con gli artisti che lavoravo 
            alla RCA, perché quando venivano per le promozioni stavano 
            un bel po’, invece gli Who non sono mai venuti per promozione 
            solo per concerti e così le occasioni erano più rare 
            e in quei momenti di tensione non c’era certo il tempo di pensare 
            alle foto.
 
 Beh, possiamo recuperare a Verona…
 Si, un bell’incontro fra vecchietti, hahaha…
 Io ho “voluto” che gli Who fossero distribuiti in Italia, 
            a quel tempo erano un po’ meno conosciuti dei Beatles, già... 
            ma lo sai che i Beatles non vendevano niente in Italia? In Inghilterra 
            erano già un mito e in tutta Europa andavano fortissimo, ma 
            mentre Modugno o Nico Fidenco in Italia vendevano più di un 
            milione di copie, i Beatles qui non vendevano più di quaranta 
            o cinquanta mila copie, praticamente niente. Da noi tutti parlano 
            dei Beatles, ma all’epoca eravamo davvero pochi a seguirli e 
            i Rolling Stones ancora meno perché facevano un rock più 
            sporco e cattivo. Quindi non fu facile convincere i miei capi a distribuire 
            gli Who in Italia, ma io li volli assolutamente. Ed i fatti hanno 
            dato ragione a me.
 
 Oltre al diapason hai altri cimeli degli Who?
 Siccome Peter Townshend ha dato vita ad una fondazione per dei bambini 
            bisognosi, ho comprato da lui una chitarra. Per quella elettrica voleva 
            un milione e mezzo, mentre per una chitarra acustica voleva novecento 
            mila lire, così presi una sua famosa chitarra acustica, che 
            usava molto in quell'epoca, era una Takamine elettrificata. Però 
            quella tonta della segretaria della Track Records, che me la spedì, 
            sulla lettera di vettura non scrisse che era un oggetto promozionale 
            e a Fiumicino,mi fecero pagare seicento mila lire di tasse doganali, 
            quasi pagai più la dogana che la chitarra, roba da matti! va 
            beh… Questa era la chitarra usata da Peter nel live Join Together, 
            se non mi ricordo male erano gli anni ottanta ed era uscito un disco 
            doppio e un video e questa era proprio la chitarra usata nel video. 
            Peter teneva due chitarre acustiche sul palco e vicino al manico aveva 
            scritto i numeri uno e due, a me dettero la due. Quando ripresero 
            il concerto per combinazione c’era proprio la due, per cui Pete 
            aveva proprio usato quella!. Purtroppo poi ho dovuto venderla, ma 
            ho così tanti ricordi, ho avuto la chitarra degli Aerosmith, 
            con la firma di tre del gruppo, quella di Townshend, e quella degli 
            ZZ Top, una Fernandez autografata da tutti e tre... ora fanno cose 
            che mi piacciono meno, ma allora mi piacevano parecchio, il famoso 
            southern rock degli ZZ Top è rimasto un mito nella storia del 
            rock.
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        | Tu dove li avevi sentiti prima gli Who?
 La mia formazione musicale ovviamente comincia dagli anni ’50, 
            avevo una madre iper protettiva che si impicciava sempre e cercava 
            in tutti i modi di condizionare la mia vita. Quando arrivò 
            il rock ‘n’ roll quella per me fu una zona franca, dove 
            lei non poteva intervenire, non poteva mettere bocca, quindi avevo 
            campo libero, potevo decidere io chi era bravo e chi non lo era. Così 
            andavo nei negozi e ascoltavo i dischi e scoprivo artisti che neanche 
            conoscevo, spesso dopo un anno o un anno e mezzo che il disco era 
            uscito, sai a quel tempo non c’era tutta la diffusione che c’è 
            adesso, gli artisti non andavano subito in classifica, oggi uno fa 
            un disco e lo sanno subito anche in Papuasia, ma ai miei tempi non 
            era così, allora c’era solo un giornale che si chiamava 
            Hit Parader che si comprava solo nell'edicola internazionale di via 
            Veneto. Era un po’ come TV Sorrisi e Canzoni, metteva i titoli 
            delle canzoni e gli autori, ma non chi le cantava, però pubblicava 
            i testi, così scoprivo che certe canzoni che compravo stavano 
            in classifica in America, non c’era modo di sapere nulla. Quindi 
            quando io decidevo che un disco era bello me lo portavo a casa. Fu 
            così che scoprii Jerry Lee Lewis, Ricky Nelson, Fats Domino, 
            Buddie Holly, Little Richard e tanti altri. Quando scoprii dopo vent’anni 
            che Little Richard era gay mi venne un colpo, per dirti come non ci 
            fosse molta informazione all’epoca. Così ho incominciato 
            a sviluppare la mia cultura musicale.
 In questi giorni, attraverso il sito, ho scoperto degli artisti fantastici, 
            pensa che alcuni non sono nemmeno sotto contratto, i discografici 
            devono essere tutti rincoglioniti! Parecchi di questi fanno della 
            musica pop da classifica che avrebbe sicuramente successo se venisse 
            spinta adeguatamente. Poi ci stanno una marea di metallari (specie 
            nei paesi scandinavi, sarà la discendenza dai vikinghi!) che 
            sono sotto contratto e non capisco chi se li compra, ma forse fanno 
            un po’ parte di un’altra cultura, in particolare inglese 
            e americana, mi riferisco a quelli che cantano con quelle voci gutturali 
            terribili e che hanno una fioritura che non capisco. Invece capisco 
            i gruppi punk, perché questi in fin dei conti fanno una musica 
            un po’ più veloce, una canzoncina melodica cantata un 
            po’ più sparata che resta comunque melodica, alcuni metallari, 
            quelli death o hardcore, invece fanno delle cose secondo me orripilanti 
            che io non capisco. Per carità ascolto anche loro, ma non mi 
            piacciono quelli che urlano come dei matti, quelli non li sopporto 
            proprio. Tornando a noi, la criticità l’ho poi sviluppata 
            nel corso degli anni facendo il giornalista musicale, ho fatto molte 
            collaborazioni, ho fatto dei programmi radiofonici, in seguito sono 
            andato alla EMI e dopo due anni e mezzo di promozione sono finito 
            alla RCA. Qui si andava dalle stelle alle stalle e dalle stalle alle 
            stelle in continuazione, era un’azienda privata tostissima, 
            se non eri forte dopo un po’ ti cacciavano via e io sono stato 
            in forse per quasi 30 anni, per cui si vede che qualche cosa sono 
            riuscito a combinarla.
 
 Vorrei tornare a Quadrophenia e al film epico che è 
            stato fatto, un film molto bello, tu cosa ricordi delle lotte fra 
            le bande di Mods e Rokers, ci sono state anche in Italia?
 Ti dico subito che essendo “fuori” dalla cultura 
            inglese a noi interessava solo la musica. A me personalmente sapere 
            se uno era dei Mods o dei Rokers non interessava proprio, a me piaceva 
            la musica. Poi quando facevo i viaggi a Londra da ragazzo scoprivo 
            che c’erano le bande di ribelli che si menavano e si davano 
            delle catenate, oppure usavano le bottiglie rotte, prendevano quelle 
            del latte, che a quel tempo erano di vetro, le spezzavano per menarsi 
            ed ovviamente spesso correva il sangue. A Brighton ho visto uno accoltellato, 
            si stavano picchiando e poi uno si è accasciato a terra in 
            una pozza di sangue! Per me francamente era una sorpresa, quel tipo 
            di violenza allora in Italia non c’era, ce n’è 
            sicuramente di più adesso. Mi ricordo che una volta sono stato 
            anche inseguito da un gruppo di rockers, questi si nascondevano nei 
            vicoletti per aspettare qualche malcapitato di passaggio per poi assalirlo, 
            noi eravamo in quattro amici e come li abbiamo visti ci siamo dati 
            alla fuga, non ho mai corso tanto in vita mia!
 Quindi sapere che gli Who erano l’espressione dei Mods a me 
            non me ne fregava niente, come ti dicevo a me interessava solo la 
            musica. La musica non ha colore, non ha partito, se uno è forte 
            può essere di destra o di sinistra che a me non interessa, 
            magari non condivido le sue idee, ma sono affari suoi, non miei. Comunque 
            queste erano cose che in Italia non arrivavano, le scoprivi solo andando 
            in Inghilterra. Succedevano poi solo in certi quartieri come vicino 
            all’Hammersmith Odeon, dove era nato Roger Daltrey. Comunque 
            i Mods erano tranquilli per fortuna, erano i rockers che erano un 
            po’ più pericolosi.
 Peter Townshend era un artista molto creativo, al di la delle accuse 
            che poi gli hanno fatto di pedofilia. Lui si era giustificato dicendo 
            che voleva capire di cosa si trattava. Quando io ho sentito parlare 
            di questa cosa non sapevo neanche che cos’era, non immaginavo 
            minimanente in cosa consistesse, ma anche oggi non lo voglio neanche 
            sapere, non riesco proprio a visionare la cosa, a inquadrarla. Immagino 
            però che lui avendo scritto questa storia di Tommy, un bambino 
            sordomuto con un sacco di problemi, potesse effettivamente desiderare 
            di saperne di più, ma magari non ha mai fatto niente. Ma ripeto, 
            se anche avesse fatto delle cose di questo genere a me non interessa 
            niente, io mi fermo alla sua musica, posso biasimarlo da un punto 
            di vista morale, ma continuo a stimarlo come grande artista, il più 
            grande chitarrista ritmico della storia del rock, mentre come solista 
            diciamo che se la cava anche se non è proprio il massimo. Sul 
            palco faceva dei numeri incredibili sempre continuando a suonare, 
            faceva delle capriole, aveva uno stage act che era una cosa micidiale. 
            Ti dico la verità, se fossi stato un musicista avrei voluto 
            essere esattamente come lui sul palco, c’è stata da parte 
            mia proprio una buona dose di identificazione con lui. Sul palco buttava 
            fuori tutta la sua carica dava quello che doveva dare, poi sceso dal 
            palco si trasformava e diventava una persona tranquilla.
 
 E come vedi gli Who oggi?
 L’altro 
            giorno mi sono comprato un concerto di Peter Townshend a New York, 
            era lui da solo con altri musicisti come Simon Phillips il famoso 
            batterista, poi ci sono Simon Townshend, John Bundrick, John Carin, 
            Neil Sidwell, Billy Nichols, Simon Gardner, Dennis Farias, Dino Palladino, 
            Nick Lane, Roy Wiegand e altri. Townshend suona ancora molto bene 
            e canta lui, il concerto dura due ore e mezza e ci sono un sacco di 
            brani molto belli.
 Sono andato a vedere un po’ tutti i concerti dei cosiddetti 
            vecchi del rock, come ad esempio i Deep Purple di cui ho visto un 
            grande concerto, suonato ancora con tanta energia, ma in genere, devo 
            dire la verità, mi sembra che molti vanno ancora in giro solo 
            per alzare un po’ di soldi, salgono sul palco, fanno quello 
            che devono fare, fanno sorrisetti di circostanza e poi arrivederci, 
            tanti saluti e se ne vanno. Hanno ovviamente perso lo smalto, ma rimangono 
            dei capisaldi, dei maestri indiscussi, meritano totale rispetto per 
            quello che hanno fatto, ma obiettivamente vedi che non hanno più 
            la carica di un tempo. E' un fatto fisiologico... anche se ci sono 
            eccezioni, vedi Neil Young ed anche lo stesso Peter Townshend, anche 
            se sta sulla strada del tramonto anche lui, durante i concerti ancora 
            oggi non sta mai fermo e ce la mette veramente tutta, si vede che 
            non lo fa per soldi (non ti dico questo perché lo amo tanto, 
            ti direi la verità se non fosse così), un po’ 
            come i Rolling Stones, Mick Jagger sul palco si muove ancora come 
            ai vecchi tempi. Il paragone fra i due è buono, Peter forse 
            non sfascerà più gli amplificatori e la chitarra, non 
            farà più piroette e salti mortali, però fa ancora 
            la ruota con la mano, e si muove da Dio, per me rimane ancora un artista 
            fortissimo. Magari il loro ultimo disco è l'ombra di quello 
            che erano, ma tutto non si può avere dalla vita!!
 
 Bene, direi che questa prima chiaccherata si esaurisce qui. Alla prossima! 
            Ciao.
 
 Recensioni: Live at Royal Albert Hall; Amazing 
            Journey
 
 Live reportages: 2007
 
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