Una cosa molto bella della Moonjune è che a fianco di nomi
storici e importanti come quelli dei Soft Machine e di Allan Holdsworth,
non ha mai avuto paura di accostare nomi assolutamente sconosciuti
e di confrontarsi con paesi lontani e apparentemente improponibili,
ecco così che negli anni abbiamo avuto il piacere di scoprire
(e a volte di riscoprire) realtà di notevole pregio artistico,
come gli israeliani Marbin anche loro freschi di nuovo album, come
il nostro talentuoso Savoldelli, oppure come questo chitarrista indonesiano
(di origine balinese) dal talento spropositato. Budjana ci consegna
il suo quinto album solista, a cui collaborano una lunga serie di
artisti locali e fanno la loro bella comparsa alcune star internazionali
come Peter Erskine (Weather Report) alla batteria, Dave Carpenter
e Reggie Hamilton al basso e infine Howard Levy all’armonica.
Budjana fa parte di una formazione pop/rock indonesiana chiamata Gigi,
che dal ‘94 ha pubblicato più di venti album e venduto
milioni di dischi (ndr. Tratto dalla biografia), mentre come solista
ha già lavorato con grandi nomi del jazz.
Il disco apre con una specie di intro psichedelica, che presto prende
le vesti di una fusion dinamica, che fa da tappeto all’estro
sorprendente di questo vero talento della sei corde, che verso il
finale si lancia in un assolo da paura. “Gangaa” è
molto più solare, si sentono gli influssi della terra di origine
e la fusion si tinge di tinte asiatiche molto piacevoli, creando un
mix veramente irresistibile. Sempre molto evocativa di incantevoli
orizzonti orientali è la romantica “Masa Kecil”,
un brano che mi ha conquistato al primo ascolto, è uno dei
brani più corti del disco, ma che bello. “Kromatica Lagi”
è più in linea con lo stile occidentale, ricorda per
certi versi i Weather Report e ancora una volta Dewa si scatena in
vere magie. I temi legati all’oriente tornano nella malinconica
“Back Home”, ancora una volta piace la capacità
di questo artista di coniugare felicemente una tradizione lontana
con la modernità della musica occidentale. “Malacca Bay”,
coi suoi oltre dieci minuti, ci mostra l’abilità del
nostro nel comporre un brano propriamente jazz, con grandi spazi di
improvvisazione. Saltando un po’ voglio sottolineare “Caka
1922”, che è un brano lento e introspettivo, che ci mostra
il lato più delicato di questo artista ed è ancora magia.
Bella la struttura ritmica di “Dancing Tears”, imperdibile
infine la dolcissima “Devananda”, che chiude con un tocco
di infinita dolcezza questo disco pieno di vita.
Complimenti davvero a questo artista molto elegante, che con grande
talento unito a molta semplicità è riuscito ad emozionarmi
come pochi altri. GB
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